E ora scende in campo anche il Financial Times . Il quotidiano che meglio interpreta il sentire profondo della city londinese e l’umore dei mercati internazionali ha ieri «speso» il suo editorialista principe in questioni comunitarie ( Wolfgang Münchau, tedesco, cofondatore del Financial Times Deutschland) per appoggiare Mario Draghi, candidato italiano alla presidenza della Banca Centrale europea. «La Bce ha bisogno di Draghi», ha scritto il giornale, lanciando l’allarme sulla delicatezza della scelta: «Una gara mal gestita per la successione a Trichet potrebbe approfondire la spaccatura tra il nucleo centrale della zona euro e la sua periferia. Problemi non risolti o risolti male potrebbero condurre a un’altra crisi di fiducia». Secondo il giornale, il prossimo numero uno della Bce deve essere «un banchiere centrale di esperienza e con una profonda conoscenza dell’economia monetaria e del sistema finanziario; capace di forgiare il consenso in un consiglio difficile e spesso diviso; capace di presentare questo consenso al mondo esterno; in grado di tenere testa a leader politici di peso come il presidente francese e il cancelliere tedesco; e che sia credibile al mondo esterno, compresi gli investitori globali». E per il Financial Times c’è solo una candidato che abbia questi requisiti: Draghi, appunto. Un appoggio importante, anche se non del tutto inatteso ( tra i nomi in lizza Draghi è di sicuro quello con maggiore esperienza e sensibilità per il mercato), ma che non toglie di mezzo gli ostacoli che ancora restano sul percorso del governatore di via Nazionale. Nei mesi scorsi la cancelliera Angela Merkel aveva strategicamente operato per bloccare le ambizioni italiane. Fondamentale in questo senso era stata la nomina del portoghese Vitor Constancio a vicepresidente della Bce. Una legge non scritta dell’Europa è l’equilibrio tra Sud e Nord del continente ai vertici delle diverse istituzioni. E nel caso di Portogallo e Italia si tratta per di più di due Paesi che sono da considerare entrambi peccatori di fronte all’ortodossia di bilancio tedesca. La strada di Draghi era in pratica già chiusa. In un vertice di gennaio il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble e quello francese Cristine Lagarde avevano raggiunto l’accordo sul nome di Axel Weber, numero uno della Bundesbank. Prova che, secondo gli analisti, Sarkozy ha deciso di sposare in ogni caso la posizione tedesca per rendere più solido quell’asse Parigi- Berlino visto come unica arma per salvare l’euro. Le dimissioni improvvise di Weber, che con un’impoliticità tutta tedesca ha confessato di non poter accettare i compromessi necessari per operare alla Bce, ha riaperto i giochi. E creato un problema enorme alla Merkel. Gli altri suoi possibili candidati (dal lussemburghese Mersch al finlandese Liikanen, per non parlare dei tedeschi Regling o Stark) hanno credenziali che non reggono il confronto con Draghi. Ma dal punto di vista di Berlino il governatore di via Nazionale continua a presentare le stesse controindicazioni. Per capirle bastava leggere la Bild (il quotidiano popolare che secondo un vecchio detto è l’unico giornale che valga la pena leggere per essere eletti in Germania). Appena Weber ha annunciato le sue dimissioni il giornale si è buttato sulla storia con un punto di vista preciso: «Chi baderà adesso al nostro euro? Per favore non affidatelo a questo italiano». La spiegazione era accanto alla foto di Draghi: «Mamma mia, l’inflazione è tipica dell’Italia come il pomodoro sulla pasta. E come se non bastasse, Draghi era vice capo di Goldman Sachs a Londra tra il 2002 e il 2005. E in quel periodo Goldman è accusata di aver aiutato la Grecia a nascondere i suoi debiti».
Ieri sia il portavoce del governo tedesco sia lo stesso Weber hanno detto che per scegliere il nuovo capo della Bce la nazionalità non è importante. E Draghi in un’intervista alla Faz ha additato la Germania ad esempio per il suo rigore. Il futuro dirà se sono i primi passi di una svolta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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