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La beffa di Hamas: non vuole più gli aiuti

E adesso Hamas non vuole gli aiuti della flottiglia, che doveva rompere il blocco navale attorno a Gaza. Ai valichi di passaggio israeliano, verso la striscia palestinese, è in coda da mercoledì una colonna di Tir. Non solo: si scopre che l’intero carico di aiuti trasportati via mare dai pacifisti a senso unico riempirà fra i 70 e gli 80 camion. A Gaza l’esercito israeliano ne fa entrare ogni giorno un centinaio. Una beffa, che dimostra come l’intera operazione umanitaria via mare fosse solo una mossa politica e propagandistica per «liberare» Gaza.
I giornali israeliani hanno rivelato che da mercoledì ben 22 camion, caricati con gli aiuti della flottiglia sotto sequestro nel porto di Ashod, erano pronti ad entrare nella striscia. La colonna doveva passare per il valico di Kerem Shalom, ma Hamas aveva negato l’autorizzazione all’ingresso. I pacifisti giuravano che gli aiuti erano urgenti. Sembrava che i palestinesi morissero di fame ed invece Hamas ha bloccato tutto. Ahmed Kurd, ministro del Welfare nella striscia ha messo in chiaro, che «si rifiuta di ricevere gli aiuti fino a quando tutti i detenuti (della flottiglia, nda) non saranno rilasciati». Israele li ha già rimandati a casa quasi tutti, ma Hamas punta i piedi anche per altri motivi.
Il primo carico della flottiglia in arrivo via terra a Gaza comprende un certo numero di sedie a rotelle per i mutilati o gli anziani. I palestinesi accusano gli israeliani di aver levato le batterie che muovono le carrozzelle. Alcuni materiali che potrebbero venir usati per scopi guerriglieri o per costruire bunker sono proibiti, ma i dirigenti della striscia non vogliono gli aiuti a metà. O tutto o niente, è la linea ufficiale di Kurd. Poi è saltato fuori che nessuno sa a chi devono andare questi aiuti, perché sarebbero stati gli uomini di Hamas ad attendere la flottiglia in porto. Il maggiore Guy Imbar, portavoce del Cogat, l’ufficio dell’esercito che autorizza il passaggio dei carichi nella striscia osserva: «Per anni la popolazione di Gaza ha denunciato una crisi umanitaria. Mi risulta difficile credere che non sanno a chi consegnare cibo, medicine, vestiti e coperte».
Alla fine il ministro Kurd ha accusato Israele di voler inviare via terra gli aiuti della flottiglia, «per spostare l’attenzione dal massacro» avvenuto in alto mare. Per il maggiore Imbar è l'ennesima prova «che l’intera vicenda fosse una provocazione, una mossa propagandistica, che aveva ben poco a cuore i reali bisogni della gente di Gaza».
Soprattutto se teniamo conto della vera portata degli aiuti della flottiglia. Secondo il Cogat riempiranno «fra i 70 e gli 80 camion al massimo. Noi ogni giorno ne facciamo passare un centinaio». A questo sono serviti i morti e la tempesta diplomatica internazionale. Secondo i dati ufficiali, solamente dal 25 aprile al 2 maggio gli israeliani hanno fatto passare 15.151 tonnellate di aiuti umanitari. Nella prima settimana di maggio sono transitati per i valichi di Gaza 619 camion con quasi un milione e mezzo di litri di diesel, 44.707 di benzina e 919 tonnellate di gas. Settantasei camion trasportavano frutta e verdura, 34 la carne, 45 prodotti quotidiani, 50 vestiti e scarpe, 16 zucchero. Gaza rimane comunque blindata e la gente si sente in una prigione a cielo aperto. Però, nella sola prima settimana di maggio, sono passati verso Israele 378 malati e parenti al seguito.
Adesso è in arrivo una seconda nave «pacifista». A bordo c’è un premio Nobel per la pace e un ex vice segretario generale dell’Onu. Israele vuole evitare un nuovo assalto in alto mare. Si spera che la Rachel Corrie accetti di sbarcare il carico umanitario nel porto di Ashdod. L’arrivo della nave è previsto nel fine settimana. L’obiettivo politico è sempre lo stesso: rompere il blocco attorno a Gaza con una manciata di aiuti.
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