Bella ed elegante, sempre sedotta e abbandonata

SOLA Il piccino era frutto di una relazione con un uomo sposato che non ha voluto riconoscerlo

Katerina, occhi di smeraldo incastonati in un volto minuto ed elegante. Bella come si può essere a 26 anni se la natura è stata benevola. Tanto da essere chiamata a fare la hostess in varie manifestazioni come il Salone Nautico di Genova, e forse credere che, percorrendo le passerelle sui moli sarebbe arrivata su ben altri palcoscenici. Su Facebook la sua foto è ammiccante, tanti gli amici, molti sono greci come lei. Alcuni sono ex compagni di scuola, che la ricordano ragazzina e che l’hanno ritrovata su Internet grazie al social network che va di moda adesso. L’ultimo tam tam era di vedersi per una «pizzata». Poi l’università, le lezioni di greco moderno per guadagnarsi qualcosa, i sogni. Gli amori. Non facili. Anzi, troppo complicati per una ragazza di 26 anni soltanto. Che, a luglio dell’anno scorso, si ritrova mamma di Alessandro. Frutto della relazione con un uomo sposato, che ha una famiglia sua. E che di quel piccolo non ne vuole sapere. Non lo riconosce. Anzi, davanti agli investigatori che lo interrogano lascia intendere che chissà, forse... non è nemmeno sicuro che sia proprio suo.
Katerina, mamma e papà greci, con gli uomini di fortuna non ne aveva avuta granché. Stava a Genova da una vita, nel quartiere popolare di San Fruttuoso. Però c’era rimasta solo con la madre Margherita. Il papà se n’era andato via nel modo meno facile: restando lì nelle vicinanze perché aveva allacciato una relazione con un’altra donna della zona. La madre si era vista portar via da un’altra anche il secondo compagno. E, forse, presa dal suo personale dolore, non aveva visto quello che succedeva a Katerina. Non aveva capito.
La ragazza aveva cominciato a drogarsi. E un anno fa era stata identificata e segnalata alla Prefettura come tossicodipendente. Quel volto da madonna, bello e ammiccante, non lo aveva più guardandola rannicchiata sul sedile posteriore della volante che la porta nel carcere femminile di Pontedecimo. Jeans a vita bassa, cintura nera e un giubbottino di vernice nera lucida. Chi l’ha vista dice che è magra da far paura. Ieri mattina, il suo avvocato Igor Dante è andato a trovarla in cella. L’ha trovata triste, disperata. «È una madre che sa che non rivedrà più il suo bambino», racconta il legale che ha fatto notte con lei in Questura per ricostruire una tragedia senza senso. E aggiunge che «era un po’ più lucida e a poco a poco ricorda più particolari. Questo ci darà modo di impostare la linea di difesa più precisamente». Ha ammesso qualcosa in più? «No, lei resta ferma su quanto ha detto da subito alla polizia. Credeva che il bambino dormisse. Non sa cosa sia successo».
Per il figlioletto Alessandro, delicato e minuto, aveva preso in affitto un appartamento al piano di sopra della madre. Voleva un po’ di indipendenza. E a chi l’incrociava sul pianerottolo e le faceva i complimenti per il bimbo, lei sorrideva e diceva che adesso che aveva smesso di allattarlo le dispiaceva, ma cercava cose buone da dargli, prodotti apposta per i bimbi. Ieri in carcere ha visto un po’ di tv e ha incontrato una psicologa.
«Chi mi ha portato via il mio cucciolo? Non ci posso credere che il mio cucciolo non ci sia più. Non posso credere che sia stato quel ...», piange disperata nella sua cella dove non ha potuto portare nemmeno un ciucciotto, un oggetto appartenuto al suo piccolo Alessandro. Il suo avvocato Igor Dante la descrive come una madre disperata per la perdita del proprio bambino, di una donna che respinge quasi indignata le accuse che le vengono mosse, di una ragazza niente affatto preoccupata dall’organizzare una strategia difensiva.

Le parole di Katerina vengono spesso interrotte da singhiozzi e lacrime, che si alternano con momenti di lucidità in cui si sforza di ricordare. Il medico legale sembra già sicuro che le sevizie inferte al bambino non siano vecchie. Fino a quella maledetta sera Alessandro non avrebbe avuto maltrattamenti.

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