Bengasi brucia, vacilla il regime di Gheddafi

Il CairoQuella di ieri è stata una giornata di protesta contro i governi autoritari in tutto il mondo arabo. Dalla Libia al Bahrein, passando per la Giordania e lo Yemen, migliaia di persone hanno gridato le stesse parole: «Il popolo vuole la fine del regime». È lo slogan della piazza egiziana che ieri ha voluto celebrare la sua vittoria contro il rais Hosni Mubarak. Sono arrivati a migliaia, anche da altre città: famiglie con bambini, giovani con le bandiere e le facce colorate di bianco, rosso e nero, vecchi con il bastone e gruppi di ragazze. In piazza Tahrir c'erano le bancarelle con i gadget rivoluzionari e i venditori di pop corn. Si festeggia, ma si mantiene anche alta la pressione, «per far capire che se non ci saranno le riforme ci riprenderemo la piazza», aveva detto al Giornale pochi giorni fa un membro del movimento giovanile di Mohammed ElBaradei.
L'appuntamento è all'ora della preghiera islamica del venerdì. Dopo mezzogiorno, sul centro della megalopoli è calato un silenzio irreale, rotto soltanto dalla voce sincronizzata di migliaia di persone. A guidare la preghiera è stato Yusuf Al Qaradawi. L'imam, tornato in Egitto dopo diversi anni di semi-esilio in Qatar, è un noto volto televisivo nel mondo islamico: presenta un programma religioso sugli schermi di Al Jazeera. Molto vicino ai Fratelli musulmani, è stato sempre un oppositore del regime di Mubarak e fin dai primi giorni delle proteste ha incitato la popolazione a manifestare.
Qaradawi, che si è guadagnato sostegno in patria per la sua opposizione al regime, in Occidente resta una figura altamente controversa a causa di alcune sue posizioni radicali: ha tra l'altro appoggiato pubblicamente gli attentati suicidi contro i civili israeliani. Nel suo sermone, ieri, ha lodato l'esercito, ma ha chiesto ai militari di consegnare al più presto il potere ai civili; ha fatto pressioni per lo scioglimento del governo formato da Mubarak. E ha detto alla folla: «Non fatevi rubare la rivoluzione». Ma anche un assai più inquietante «Riconquisteremo Gerusalemme».
L'onda lunga della rivolta egiziana ieri si è fatta sentire un po' ovunque nel mondo arabo. In Libia, all'uscita delle moschee, si sono formati cortei e in Cirenaica, cuore del dissenso, la situazione è degenarata: a El Beida due agenti sono stati impiccati dalla folla e a Bengasi è stata data alle fiamme la sede della radio. Voci non confermate affermano che El Beida e Derna non sono più controllate dal governo di Muammar Gheddafi, che minaccia una repressione spietata. Nelle stesse ore, in Yemen, il dissenso si è propagato dalla capitale Sanaa ad altre città: al porto di Aden e a Taiz, nel Sud-ovest del Paese. I manifestanti, al grido di «Sei il prossimo dopo Mubarak», hanno chiesto le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh. E si sono scontrati con gruppi pro-governativi, che invece urlavano: «No al caos, no al sabotaggio». Dall'altra parte del Golfo di Aden, Gibuti ha conosciuto ieri manifestazioni e proteste: 2.000 persone sono scese in piazza contro il governo. E in Giordania, almeno cinque persone sarebbero state ferite quando la polizia è intervenuta per disperdere le opposizioni.
Gli scontri più violenti sono avvenuti in Bahrein, dove l'esercito ha sparato sulla folla che si muoveva verso il centro della capitale Manama dopo aver partecipato ai funerali delle vittime degli eventi di giovedì. La Cnn parla di quattro morti. A Teheran sono invece scesi in strada i sostenitori del regime, che hanno cantato slogan contro l'opposizione, invocando la morte dei leader dell'Onda verde, Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi.
Il contagio rivoluzionario non accenna a fermarsi. Oggi è prevista una manifestazione in Algeria.

E perfino in Arabia Saudita il principe Talal Bin Abdul Aziz, fratellastro del re, ha detto che se il sovrano Abdullah non concederà aperture, il dissenso è destinato ad arrivare anche a Riad. Il principe, che in passato aveva già parlato a favore delle riforme, è stato in passato allontanato dal Paese.

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