A Bengasi la finta serenità in attesa dell’attacco

«Stiamo arrivando a Bengasi, arriviamo e non avremo pietà». Muammar Gheddafi è apparso in tv per lanciare la sua minaccia agli insorti della Cirenaica. Rivolgendosi direttamente agli abitanti della roccaforte della «Rivoluzione del 17 febbraio» (che ieri ha celebrato in sordina la ricorrenza di un mese), il colonnello ha assicurato che «le persone disarmate non hanno niente da temere ma ogni casa sarà perquisita», chiedendo ai suoi di non inseguire i ribelli che depongono le armi e fuggono.
Ancora attacchi delle forze governative anche su Ajdabyia dove, secondo una fonte locale, i colpi delle mitragliatrici aeree sono caduti sulla strada per Bengasi e vicino ad alcune case abitate. I ribelli hanno riferito di 30 morti nell’ospedale della città. L’esercito libico ha offerto ieri una tregua ai ribelli, annunciando la sospensione delle operazioni militari a partire da domenica prossima per consentire ai «terroristi» di deporre le armi e di beneficiare della grazia. Un’offerta arrivata prima delle ultime minacce di Gheddafi.
E mentre i miliziani del rais si avvicinano nella roccaforte della «Rivoluzione» la vita sembra scorrere come sempre. Almeno secondo i racconti di chi ci vive. «Solo un 10% della popolazione ha veramente paura e ha deciso di lasciare la città o addirittura la Libia», spiega, al telefono con l’ANSA, Ahmed Gulag, un giovane interprete che da settimane lavora per i giornalisti stranieri a Bengasi. «Io ho due figli, uno di 3 anni e mezzo, l’altro di soli 3 mesi, ma per ora ho deciso di rimanere qui con tutta la mia famiglia». «I negozi sono aperti. Sono appena stato al supermercato ed è tutto normale, ci sono cibo e benzina. La gente è in giro per le strade come sempre», aggiunge Ahmed. In realtà molti negozi avevano già abbassato le saracinesche nelle scorse settimane, facendo alzare i prezzi dei generi alimentari. Ma anche Mohammed El Shawaky, speaker di Radio ’El Horà, conferma che «tutto è come prima». E come tutti a Bengasi, vuole solo parlare dei successi delle forze rivoluzionarie: «Oggi abbiamo abbattuto tre aerei di Gheddafi», dice con soddisfazione. A un mese dall’inizio della rivolta contro il regime del Colonnello però, nessuna manifestazione è stata organizzata oggi a Bengasi per la ricorrenza. Anche se ogni giorno la gente scende in piazza spontaneamente. Una volta per protesta per l’uccisione di un cameraman di Al Jazira, un’altra per le voci che davano Gheddafi attaccato nel suo bunker.

Oggi è stata la volta dell’abbattimento degli aerei dell’aviazione libica, con la gente che voleva raggiungere la zona per vedere le carcasse dei jet. «Qui la situazione è ancora sicura, venite a vedere», dice ancora Ahmed concludendo la telefonata. Prima che la rete dei cellulari venisse interrotta e i contatti con Bengasi persi.

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