Beni illiquidi e riservatezza: i limiti dello scudo fiscale

Quali sono gli adempimenti degli intermediari e quali sono i criteri di valutazione delle attività oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione? Fino a che punto è vantaggioso utilizzare una società fiduciaria per scudare i propri beni detenuti illegalmente all’estero?

Beni illiquidi e riservatezza: i limiti dello scudo fiscale

Quali sono gli adempimenti degli intermediari e quali sono i criteri di valutazione delle attività oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione? Fino a che punto è vantaggioso utilizzare una società fiduciaria per scudare i propri beni detenuti illegalmente all’estero? Questi e altri interrogativi sono stati al centro di una tavola rotonda organizzata dallo Studio Guffanti con la collaborazione di BancaFinanza. All’evento, moderato da Angela Maria Scullica, direttore del Giornale delle Assicurazioni e di BancaFinanza, hanno preso parte Philippe Blaser, direttore di Eos servizi fiduciari (gruppo Bsi), Massimo Boidi, dottore commercialista dello Studio Boidi di Torino, Giuseppe Calabi, avvocato dello studio Cbm  & Partners di Milano, Umberto Giraudo, cfo del gruppo Ersel, Fabio Guffanti, dottore commercialista dello studio Guffanti di Milano, Cristina Riboni, avvocato dello studio Cbm  & Partners di Milano, e Matteo Sagona, responsabile area normativa e regolamentare di Assofiduciaria. Ecco cosa è emerso.

Domanda. Quali sono le principali differenze tra le due edizioni precedenti e quella attuale dello scudo fiscale?
Giraudo. In generale, l’attuale normativa ricalca l’impianto normativo dei due precedenti scudi. Un’importante novità riguarda l’impossibilità, per chi detiene capitali in Paesi extra Ue senza scambio di informazione, a effettuare una delle due tipologie di operazione, vale a dire la regolarizzazione. Si dovrà pertanto direttamente procedere solo al rimpatrio. Dal punto di vista pratico ci sono, invece, diverse differenze. Il contesto economico-finanziario è cambiato, e anche l’Ocse è intervenuta per fare in modo che i Paesi maggiormente industrializzati dichiarino guerra all’evasione fiscale. Sono finiti nel mirino anche i cosiddetti paradisi fiscali, che in qualche modo hanno aiutato l’evasione in questi ultimi anni. L’Italia si sta adeguando anche in questo senso. Come? Con l’inversione dell’onere della prova per i residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, con la presunzione che i capitali detenuti illegalmente in questi Paesi siano stati formati come evasione fiscale in Italia e, infine, con il raddoppio delle sanzioni per chi viola gli obblighi in materia di monitoraggio fiscale.

D. Un aspetto significativo riguarda i capitali oggetto dello scudo.
Giraudo. Nel precedente scudo, scattato per il timore di una instabilità politica in seguito agli attentati terroristici, si è trattato di capitali formatisi principalmente negli anni Settanta o ancora prima. In questo caso, i capitali oggetto del rimpatrio sono relativi invece ai guadagni derivanti da attività imprenditoriale e professionale. Altro aspetto importante è la diversità di intestazione dei conti che hanno le attività oggetto di rimpatrio: mentre allora erano intestati normalmente a persone fisiche che poi sottoscrivevano la cosiddetta dichiarazione riservata, oggi fanno riferimento a soggetti interposti, principalmente trust o società di Paesi a fiscalità privilegiata. Un fenomeno, questo, nato anche per evitare la tassazione sul risparmio. Da qui la costituzione di soggetti interposti che adesso ci troviamo a dover smontare per poter effettuare il rimpatrio. Ultimo aspetto: la composizione del portafoglio. Mentre nelle prime versioni dello scudo i portafogli erano semplici, oggi difficilmente sono privi di attività illiquide. Tutto questo pone delle condizioni tali per cui il rimpatrio deve essere attentamente pianificato, sia con il professionista, sia con l’intermediario.

Guffanti. In questa nuova edizione dello scudo notiamo, infatti, nei portafogli dei clienti la presenza sia di hedge fund, sia di materie prime come l’oro, considerato bene rifugio per eccellenza, che nelle prime due edizioni non erano certo presenti in queste proporzioni. Si pone allora l’esigenza, per esempio per l’oro, che il cliente lo faccia confluire in un cosiddetto conto metalli presso la banca estera e provveda poi per esempio tramite l’utilizzo di una società fiduciaria italiana all’intestazione del conto alla fiduciaria stessa.

D. Insomma è auspicabile pensare alla fine dei paradisi fiscali?
Boidi. Non credo proprio, perché in un modo o nell’altro continueranno a esistere. Più che mettere a posto dei patrimoni formati, l’esigenza di questo scudo è quella di far affluire in Italia capitali da immettere poi nel comparto produttivo. È il contesto economico che lo richiede. Oggi è necessario un rafforzamento patrimoniale delle imprese anche alla luce degli accordi che sono stati sottoscritti tra Abi e Confindustria. A ogni euro immesso nell’equity delle imprese corrisponderà un sostegno da parte del sistema bancario.

Guffanti. In questo quadro si inserisce la disposizione dell’articolo 5 del recente decreto legge n. 78/09 in tema di defiscalizzazione delle operazioni di aumento di capitale sociale. È palese che questo provvedimento è finalizzato alla capitalizzazione e al rilancio delle nostre imprese. Tra i vantaggi dello scudo c’è proprio questo: uno sconto concesso all’azienda pari a un 3% per cinque periodi di imposta sugli aumenti di capitale effettuati dai soci persone fisiche. Pensiamo per esempio alle piccole imprese o a quelle a ristretta base familiare dove l’amministratore è il più delle volte anche socio di maggioranza. Poi dobbiamo ricordare anche la disposizione prevista sempre nell’articolo 5 volta a incentivare gli investimenti effettuati dalle imprese in nuovi macchinari e attrezzature e conosciuta come Tremonti-ter: se i soldi vengono immessi nell’azienda e poi investiti per acquistare determinati beni strumentali, si può fruire di una detassazione pari al 50% del valore dei beni stessi. 

D. Quali sono gli adempimenti degli intermediari e quali sono i criteri di valorizzazione delle attività oggetto di rimpatrio o regolarizzazione?
Blaser. Per quanto riguarda gli adempimenti, non sono molto cambiati rispetto ai precedenti scudi fiscali. L’intermediario riceve la dichiarazione, tassa quelli che sono i redditi dei beni rimpatriati dall’1 gennaio 2009 fino alla data del rimpatrio stesso, preleva l’imposta straordinaria del 5%, rilascia la dichiarazione riservata e soprattutto salvaguarda quella che è la riservatezza. L’adempimento più significativo è proprio la tutela della riservatezza della dichiarazione: vuol dire che l’agenzia delle entrate non deve assolutamente avere visibilità dei dati. L’unica novità, ma anche dubbio, rispetto ai precedenti scudi, è rappresentata dalla comunicazione all’anagrafe dei rapporti di cui al Dl n. 223/06: nella recente circolare n. 43 l’Agenzia delle entrate afferma che «gli intermediari che ricevono le dichiarazioni riservate non devono fornire all’amministrazione finanziaria i dati e le notizie relativi alle stesse. I dati relativi alle operazioni di emersione effettuate, non soltanto non sono comunicati all’amministrazione al momento dell’operazione, ma non sono forniti nemmeno successivamente in sede di accertamento». Per il resto l’intermediario non deve assolutamente entrare nel merito dei contenuti della dichiarazione riservata. Per quanto riguarda i criteri di valorizzazione, non vi è dubbio che la decisione sia in mano al dichiarante. L’unica cosa che l’intermediario è tenuto a controllare è il momento in cui arrivano le attività finanziarie. In questo caso bisogna vedere se ci sia coincidenza tra il rapporto aperto e l’ordinante. La banca estera deve quindi comunicare all’intermediario italiano da quale soggetto deriva l’importo rimpatriato. Operazione, questa, non facile, dal momento che il 90% dei rimpatri derivano per esempio da società panamensi. Insomma una certa collaborazione deve arrivare anche dall’intermediario estero.

D. E questa collaborazione c’è oppure no?
Blaser. Dipende. Diciamo che si ha una certa resistenza perché comunque le dichiarazioni richieste dagli intermediari italiani sono piuttosto evolute e rientrano in quella che è la normativa del 2007 sull’antiriciclaggio. In generale i testi sono presi in considerazione, anche se poi passano tra i vari uffici legali delle banche estere. La Svizzera, per esempio, collabora molto e in modo completo.
Boidi. Sui criteri di valorizzazione mi pare che nelle passate edizioni dello scudo veniva quantomeno indicata una sorta di scaletta: come primo passaggio si faceva riferimento al costo storico. In mancanza di questo, veniva richiesta una dichiarazione sostitutiva. In terzo luogo si faceva riferimento al valore corrente di mercato. Adesso, come confermato anche dalla circolare n. 43, è richiesto di dichiarare un valore compreso fra il costo storico e quello corrente di mercato.
Sagona. Questa variabilità nell’indicare il valore da dichiarare crea nel soggetto che scuda una certa preoccupazione, in quanto egli stesso, se non adeguatamente consigliato, non conosce quale è il valore più utile per lui anche in previsione di un futuro fiscale dell’investimento. Un aiuto può darglielo sicuramente l’intermediario, se è evoluto. Al contrario è opportuno che lo scudante si faccia assistere da un professionista, che magari conosce la sua posizione globale perché è il suo consulente fiscale personale.
Guffanti. La scelta del criterio di valorizzazione è infatti molto importante in quanto andrà poi a rappresentare il valore di carico dell’attività finanziaria ai fini del capital gain in Italia e si richiede quindi, da parte del soggetto che effettua il rimpatrio, un‘analisi molto accurata, al fine di non ritrovarsi poi con spiacevoli sorprese.

D. Quali sono i vantaggi nell’utilizzare una società fiduciaria per scudare i propri beni detenuti illegalmente all’estero?
Sagona.
Nei precedenti scudi le fiduciarie hanno avuto un ruolo determinante e molto pesante in termini di numeri. Dai dati che ha fornito l’Agenzia delle entrate è emerso che sono stati rimpatriati (a esclusione delle regolarizzazioni) qualcosa come 46 miliardi di euro. Nelle fiduciarie ne sono rimasti, poi in amministrazione, 13 miliardi di euro, vale a dire il 30%. Abbiamo sentore che anche con questa edizione dello scudo le fiduciarie possano ricoprire un ruolo ancora più forte rispetto al passato. Fra i vantaggi nell’utilizzare una fiduciaria c’è sicuramente la riservatezza. 

D. La fiduciaria, comunque, mi pare che non garantisca l’anonimato.
Sagona.
Non lo ha mai garantito. Assicura semmai una riservatezza nei confronti dei terzi ovvero di chi non ha potere di indagine nei confronti della fiduciaria. Il fisco, ovviamente, ha questo potere. Ma c’è anche un altro vantaggio: quello di servirsi della fiduciaria per utilizzare il rimpatrio giuridico, cioè il contribuente può mantenere i beni all’estero intestandoli alla fiduciaria italiana.

D. Ma gli effetti del rimpatrio e della regolarizzazione sono identici oppure diversi?
Guffanti.
Sono diversi. Infatti mentre il contenuto della dichiarazione di rimpatrio non viene comunicato da parte degli intermediari né all’autorità finanziaria né all’Uif, analoga riservatezza non è garantita alle operazioni di regolarizzazione che richiedono invece la segnalazione nominativa prevista dall’art. 1, comma 3, del Dl n. 167/1990.

D. C’è chi per esempio ha un rapporto pluriennale con la propria banca e magari è un po’ restio a interromperlo. Anche perché si trova bene. Deve per forza rivolgersi a una fiduciaria, in caso di rimpatrio? 
Calabi.
È quello che si sono chiesti alcuni nostri clienti, che intendono  mantenere la relazione con il proprio istituto di credito estero. Il modello che si sta facendo strada è attivare, da parte della banca estera, un contratto di advisory con una fiduciaria italiana. Il contratto di advisory porrebbe dei problemi dal punto di vista regolamentare, perché come è noto l’attività di consulenza finanziaria è oggi oggetto di riserva di legge post Mifid. Tuttavia, la Consob in passato  ha introdotto un principio importante per il quale non è fondamentale il luogo dove si presta il servizio, ma quello dove l’intermediario straniero ricerca i propri obiettivi. Facciamo riferimento per esempio a un contratto di consulenza che non è stato oggetto di una attività di natura commerciale da parte della banca estera, quindi un contratto verosimilmente sottoscritto in Svizzera e non oggetto di pubblicità o promozione in Italia. Consideriamo inoltre che la consulenza venga prestata a favore di un soggetto residente in Italia sia tramite comunicazione a distanza, sia attraverso una presenza fisica sul territorio italiano del consulente estero. Ebbene, sulla base di questi principi elaborati dalla Consob non dovrebbero esserci problemi. 

D. Quindi l’attività di advisory sembrerebbe ammessa?
Calabi.
Le banche svizzere, per esempio, hanno ipotizzato un modello per il quale il contratto di advisory è conferito con una procura a un beneficiario economico. In realtà il contratto è con la fiduciaria italiana, la quale dice alla banca che la consulenza la dà al suo procuratore che guarda caso è anche il suo beneficiario economico. Mi chiedo quindi se venga meno il principio della riservatezza.
Boidi. Il fiduciante è l’effettivo proprietario, quindi alla fine la società fiduciaria italiana si intesta i beni in nome proprio ma per conto di un altro soggetto che è l’effettivo proprietario. L’effettivo proprietario può dare istruzioni nel senso di poter avere la delega a operare sul conto, facendo in qualche modo, e per quanto in via indiretta, venir meno la riservatezza ottenuta dallo scudo e dal mandato fiduciario.
Giraudo. Un’altra strada che si sta valutando è quella della delega di gestione. Se il rapporto fra cliente e banca estera funziona, il primo rimpatria i capitali richiedendo all’intermediario italiano di aprire un contratto di gestione e di delegarlo alla banca, che può essere anche extra Ue, purché sia sottoposta a misure di vigilanza riconosciute dall’Italia.    

D. Focalizziamo l’attenzione sugli immobili. Esistono delle problematiche per il rimpatrio?
Boidi.
Sicuramente, visto che l’immobile può essere solo regolarizzato perché ovviamente non può essere fisicamente preso e rimpatriato. Pensiamo al caso in cui l’immobile si trovi in Paesi che sono esclusi dalla regolarizzazione, secondo la lista contenuta nella recente circolare n. 43. Smontare o costruire il veicolo per poter rimpatriare, mediante una sorta di cartolarizzazione, l’immobile è operazione lunga che va a cozzare con l’accorciamento dei tempi previsti dalla legge. Per capire da quale Paese si rimpatria occorre fare riferimento non al 31 dicembre 2008 ma al 5 agosto 2009. Ma dove si trova realmente l’immobile? L’operazione, in funzione dei casi, non è semplice. Secondo quanto contenuto nella circolare, rileva il Paese dove si trova l’immobile e qui deve essere costituita la società conferitaria.
Guffanti. Scudare gli immobili situati in Paesi esclusi dall’elenco allegato alla circolare è sicuramente molto oneroso. Pensiamo per esempio al caso in cui si debba conferire l’immobile svizzero o monegasco in una società svizzera o monegasca e fare poi il rimpatrio delle azioni o quote. Per il conferimento è previsto il pagamento dell’imposta di registro o altre imposte similari, oltre a dover sopportare il costo di gestione annua della società conferitaria, che deve peraltro risultare intestataria solo di quell’immobile.

D. Anche per le opere d’arte si presentano problematiche particolari?
Riboni.
Chi vuole scudare una opera d’arte pensa di mettersi al riparo dal ministero dei Beni culturali. Va chiarito assolutamente che non è così. L’opera è scudabile solo laddove costituisce una fonte di reddito. Al contrario non si incorre in alcuna violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale. Diverso è invece il discorso per un gallerista.
Quali rischi si corrono nel caso venga scudata un’opera d’arte?
Riboni.
Per il criterio di valorizzazione diventa fondamentale fare una perizia, che spesso prevede un costo non indifferente. Inoltre c’è il rischio che il bene, una volta rientrato in Italia, possa essere oggetto di dichiarazione di interesse culturale, quindi sia preso di mira dal ministero. Sarà compito del contribuente andare a giustificare il motivo per cui il bene si trovava all’estero e se in precedenza era in Italia. Alcuni professionisti consigliano di vendere e rimpatriare o regolarizzare il corrispettivo della cessione della vendita dell’opera d’arte. Anche questa è una possibilità che toglie dal campo le problematiche relative alla circolazione dell’opera, ma non risolve del tutto il problema del codice dei beni culturali: a chi compra l’opera d’arte dovrà essere dato riscontro dei vari passaggi dell’opera stessa.
Boidi. Il fatto che un bene sia scudabile laddove costituisca una fonte di reddito è tutta da verificare. La risoluzione n. 172/E del luglio scorso dell’Agenzia delle entrate fa nascere il dubbio, confermato poi anche dalla circolare n. 43. Alla domanda se uno yacht deve essere indicato perché produttivo di reddito anche quando è destinato a uso del proprietario, l’agenzia ha risposto affermativamente. Perché è un bene che può produrre plusvalenza. Lo stesso ragionamento può allora essere fatto per le opere d’arte. Su questo tema l’Agenzia ha risolto il problema alla radice, disponendo che, dalla prossima dichiarazione dei redditi, i contribuenti dovranno indicare nel quadro Rw non soltanto le attività estere di natura finanziaria, ma anche gli investimenti all’estero di altra natura, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia.
  D. Bisogna fare un’unica dichiarazione riservata di rimpatrio/regolarizzazione oppure è possibile utilizzare più dichiarazioni da parte dello stesso soggetto che effettua lo scudo?
Guffanti.
Non è scritto da nessuna parte che un soggetto debba fare un’unica dichiarazione riservata nel momento in cui fa il rimpatrio.

Al contrario, a un soggetto che può essere a rischio di accertamenti fiscali suggeriamo di fare più di una dichiarazione riservata. Così, nel caso in cui avesse necessità di fare emergere solo una parte delle somme rimpatriate in sede di un accertamento fiscale futuro, non porterebbe alla luce l’intero importo oggetto di emersione

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