Tra gli accidiosi e consiglieri fraudolenti, vincendo un lungo torpore e ascoltando un amico, Roberto Benigni è tornato ad Apiro, entroterra marchigiano, bassa montagna e alta spesa pro capite per la cultura, terra di olio, vino e castelli, dove la crisi ha picchiato duro sull'industria metalmeccanica ma non sulla vita dei suoi cento teatri: e a teatro - ieri sera ad Apiro, stasera al «Pergolesi» di Jesi - Benigni ripercorre, con spettacoli gratuiti e sold out, due cerchi del suo Inferno, recitando il canto VIII, quello degli iracondi e accidiosi, e il canto XXVI, quello di Ulisse... One man... flow. È un flusso ininterrotto, Roberto Benigni. Dopo tre anni torna ad Apiro, paesino di 2400 abitanti arrampicato 40 chilometri sopra Jesi, dove già nel 2015 partecipò - protagonista artistico di un appuntamento scientifico - a un convegno internazionale di studi danteschi sul Paradiso e, ieri e oggi (venti relatori da tutto il mondo), sull'Inferno. L'evento è organizzato, a cadenza triennale, da Franco Musarra, apirese di nascita e belga di rinascita, ora professore emerito di Letteratura italiana all'Università di Lovanio. L'attore toscano lo conobbe in casa di Umberto Eco, a Monte Cerignone, negli anni Novanta. Da allora sono amicissimi.
Il professore-filologo invita, l'attore-lettore risponde. «Io dico, seguitando...». E non si ferma più. Roberto Benigni - 66 anni, di cui gli ultimi tre sabbatici («Mi sono preso un po' di riposo...») - prima di andare in cattedra, che per lui è la scena, e viceversa, parla di Dante («A lui, poveretto, in vita non hanno mai dato nulla, neppure una ghianda d'oro. E a me dedicano i convegni...»), della sua lunga pausa professionale («È così tanto tempo che faccio nulla che ho chiesto il reddito di cittadinanza, poi comunque ormai vado verso quota 100 della Fornero e l'anno prossimo c'è la flat tax, e così sono tranquillo»), di Europa («L'Italia più che uscire dall'Europa deve uscire dall'Italia»), e dell'Italia.
L'Italia...
«È il Paese che ha il poeta più grande di tutti i tempi, Dante. La lingua più straordinaria che si possa ascoltare, che nasce con la Divina Commedia. E la Costituzione più bella del mondo, che è così perfetta che ha anche un articolo che prevede si possa cambiare, se lo si vuole. Ecco i nostri tesori».
Non siamo messi così male.
«Noi siamo il Paese del Rinascimento e del Risorgimento ma soprattutto della resurrezione. Dopo ogni crisi ci siamo sempre ripresi. Anche oggi. Ho fiducia nel popolo italiano, e anche nella sua classe politica. L'Italia è così. Quando sente che sta cadendo, si rialza. Ci si ferma, poi si riparte».
Lei si è fermato per un po'. Ora riparte
«Lì c'è il mio agente, Lucio Presta, che mi guarda... Vabbé lo dico lo stesso, però. In un anno vorrei tornare in tv, teatro e cinema».
Partiamo dal cinema.
«Ho più di un progetto. Sia film diretti da me, sia da altri che amo. Non ne posso parlare, però sto già lavorando».
L'ultimo suo film è La tigre e la neve, del 2005. Il mondo del cinema è cambiato molto.
«È un momento di grande cambiamento, sì. Ma anche di grande intensità creativa. Sono stato a Cannes, dove ho premiato l'attore di Dogman e ho visto film di qualità straordinaria. Come a Venezia, che ha avuto ragione ad accogliere Netflix, una novità che da una parte fa paura ma dall'altra attrae. Dobbiamo abbandonare la vecchia idea un po' mistica del cinema come fascio di luce in una sala buia... Bisogna adattarsi al futuro».
Passiamo al teatro.
«Sogno una tournée, che magari parta proprio da qui, dalle Marche: ricordo un tour trionfale, del 1995, che debuttò a Sirolo, Ancona... È il contatto fisico con il pubblico che rende tutto più esplosivo, vitale, vero. L'ho imparato portando in giro per il mondo Dante».
Si può ancora far amare Dante ai ragazzi, oggi?
«Certo. E i professori a scuola lo fanno benissimo. Basta che non facciano Benigni, che recita, ma i professori, che spiegano. Senza avere paura delle difficoltà del poema. Ci siamo passati tutti, all'inizio. Poi abbiamo imparato ad amarlo. Dante si studia a scuola. A teatro e in tv si ascolta. È diverso».
Ecco, la televisione.
«Ho un'idea. Fare una serata, magari due, dipende, dedicata all'amore. Lo so, sembra che mi sia montato la testa... L'amore... Come fai ad affrontare un oceano infinito come l'amore?! Però voglio provarci. È un tema che ho sempre toccato nella mia vita artistica: con I dieci comandamenti, con le letture della Divina Commedia - che di che cosa parla, se non di Amore? - o con un film come La vita è bella... Voglio fare un corpo a corpo con questo sentimento. Il titolo ce l'ho già... La verità, vi prego, sull'amore, che è verso di una poesia di W.H. Auden, il più grande poeta del '900. Magari la leggerò, anche. Avevo pensato a Funeral Blues, ma è così famosa che è troppo scontata. Comunque sì: sarà un viaggio sull'amore, e sull'Europa... Non so bene come collegherò le due cose, ma ci provo».
Perché l'Europa?
«È l'unico sogno che ci rimane. L'Europa unita è ciò che possiamo lasciare, come atto d'amore, ai nostri ragazzi. L'Europa è un'idea che non si può far morire, ciò che ci ha formato come civiltà. Che ci ha resi, come uomini, cioè che siamo».
L'Europa di Bruxelles, l'Europa delle banche?!
«L'Europa di Dante».
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