Bergamo da Guinness col record al contrario

di Cristiano Gatti
Salve, un saluto a tutti dalla capitale europea, magari pure mondiale, della depressione sportiva. Non voglio nascondermi, nel momento della vergogna: sono di qui, sono uno dei bergamaschi titolari del ripugnante record negativo. Due squadre, nove partite in totale, un punto in classifica. Contabilità Atalanta: quattro domeniche di serie A, quattro sconfitte, zero in classifica e un allenatore azzerato (Gregucci, vedasi cronaca a latere). Contabilità Albinoleffe: cinque giornate di B, un pareggio, e un allenatore che sta in piedi per miracolo (vedasi specifico cognome: Madonna). Tutto questo nel breve respiro di un'estate: fino a giugno vivevamo sull'isola felice del bel gioco e della sana amministrazione, pochi stranieri e tanti ragazzi dei nostri vivai, due esempi che tutti quanti additavano per virtuose imitazioni. Tre mesi dopo, un mondo capovolto: tutti ci guardano e nessuno sa darsi un perché. Così è cambiata la vita. Facevamo invidia, facciamo pietà.
In queste ore non risulta per niente facile essere di Bergamo. Al di là delle Mura, la gente non va tanto per il sottile: se prima la bella favola delle due squadre si trasferiva pari pari sulla reputazione della città, adesso è automatico e inevitabile il contrario. Casualmente, mentre Samp e Genoa fanno parlare di rinascimento ligure, nel nostro piccolo sentiamo già dire di tramonto e di declino. Chiaramente è una sociologia un po' cialtrona, perché fortunatamente i destini delle genti e delle città non sono esattamente quelli stabiliti dalle loro squadre. Però. Però si respira un'aria maledettamente pesante. Questi dannati risultati condizionano e inquinano tutti i giudizi: se fino a ieri spendere poco e mettere in campo i giovani erano virtù, davanti a questo record di classifica sono già diventate imperdonabili colpe. Giorni fa, la Gazzetta ha pubblicato la classifica degli stipendi ai calciatori di serie A: puntualmente, l'Atalanta era ultima. Scontato, adesso, il sarcasmo: spendono poco, i risultati si vedono.
Per gente come noi, atavicamente concentrata sul concreto, questa è l'annata peggiore per sbagliare: già da tempo sappiamo che perdere la serie A stavolta sarebbe un disastro, perché la grande torta dei diritti televisivi sarà spartita proprio tra le squadre della prossima serie A. Se l'Atalanta ci resta, molti soldi. Se l'Atalanta retrocede, disastro. B come Bancarotta.
In queste ore, mentre ci si affida ad Antonio Conte come a Mago Merlino, non si smette di cercare una ragione per questo record esagerato (ribadisco: due squadre, nove partite, un punto, e scusate se è poco). Sull'Albinoleffe non c'è granchè da dire, anche perché bisogna dire che dell'Albinoleffe non tutti sanno granchè. Sull'Atalanta invece tutti sono certissimi di saperla molto lunga. Alcuni sostengono che il dramma del presidente Ivan Ruggeri, da mesi in attesa di un miracoloso risveglio, stia per presentare il conto anche in campo sportivo: le sue ultime scelte - Del Neri allenatore, Floccari centravanti - sono esaurite, quelle nuove dei figli - Gregucci allenatore, Acquafresca centravanti - non appaiono così felici. Altri sostengono che il mercato chiuso con un attivo di bilancio sia il segno più chiaro di una volontà precisa degli eredi, cioè avviare la cessione della società. Altri ancora, minimalisti al massimo, sostengono che il problema vero resti l'età di Doni: ormai si avvia ai 37, non può più essere il leader di una volta, le prestazioni parlano da sole.
È evidente: tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Di sicuro il giovane presidente Alessandro, poco più che ventenne, non può essere scafato come il padre, benchè abbia la stessa passione e la stessa tenacia. Di sicuro scegliere Gregucci, una scommessa, proprio in un'annata decisiva non appare la decisione più geniale. Di sicuro Del Neri l'anno scorso era un'altra cosa, Floccari idem, Doni pure. Ce ne sono mille, di ragioni. Non ultima, credere di giocare ancora alla Del Neri senza Del Neri. Non ultimissima, la netta sensazione che a Bari i giocatori si siano spesi più per dare una spallata all'allenatore che agli avversari. Comunque sia, il cocktail è servito: tutti guardano Bergamo e a tutti scappa da ridere.
Una cosa che sento dire sul Sentierone, dove strusciano le mogli degli avvocati e i pensionati cittì, è questa: siamo solo all'inizio, il campionato è ancora lungo. Come no: non ci sono più le mezze stagioni e il campionato è ancora lungo. Tutti quanti ricordano il Cagliari dell'anno scorso: cinque sconfitte nelle prime cinque giornate, poi zona Uefa sfiorata. Non so perché, ma a me questa storia mette un'inquietudine sinistra. Dev'essere che io ricordo meglio un altro precedente, molto più prossimo a noi: Mandorlini, qualche stagione fa, sette partite senza una vittoria, alla fine umiliante retrocessione. Per dire che certo c'è ancora tutto il tempo, ma che non dobbiamo prendercela tanto comoda. Non ci sono più le mezze stagioni, il campionato è ancora lungo, ma ogni campionato fa storia a sé.
Appuntamento a domani sera, con il debutto di Conte. Arriva il Catania, un altro cliente che sta messo benissimo: un punto in classifica. Lo stesso Catania che l'anno scorso volava con Zenga: adesso frana il Catania e frana pure Zenga.

Loro come noi, tutto un bel libro di favole già bellamente dimenticate. Bergamo però ci ha messo del suo: dovendo cadere, sta cadendo col record. Nove partite, un punto: A come Atalanta, A come Albinoleffe, A come Avanti così e ci mettono sul Guinness degli impediti.

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