Cultura e Spettacoli

Berlinguer e l’attentato misterioso

Nel 1973 l’allora segretario del Pci sfiorò la morte in Bulgaria. Ma la vicenda emerse soltanto 18 anni dopo...

Enrico Berlinguer, segretario del Pci dal 1972 all’84, subì nel ’73 un attentato che lui stesso sospettò e individuò di matrice sovietica, della sua polizia segreta, il Kgb, e dei suoi numerosi complici nei regimi dell’Europa dell’Est. A Sofia, l’auto sulla quale viaggiava, una Ciaika russa, venne investita da un camion carico di pietre, proveniente dalla direzione opposta. L’interprete che lo accompagnava morì sul colpo e due dirigenti del Partito comunista bulgaro riportarono gravi ferite. La moglie di Berlinguer, Letizia, rivelò l’accaduto sull’Unità nell’ottobre del 1991, riportando con nettezza l’accusa del marito, che comunque aveva accettato che l’incidente rimanesse segreto e che il Partito e il Governo comunista bulgaro dessero pochissime e sfuggenti notizie. Il solo Craxi reclamò informazioni più responsabili, senza ottenere successo. Due giornalisti italiani, Giovanni Fasanella e Corrado Incerti, furono allora, nel novembre del 1991, inviati a Sofia dove trovarono una serie sconcertante di testimonianze a sostegno dell’attentato e riportarono le foto dell’incidente avendo parlato con il fotografo e con altri funzionari del Partito bulgaro che aveva appena cambiato nome, si chiamava Partito socialista e come tale era stato sconfitto nelle prime elezioni libere dall’Unione Forze Democratiche. I servizi segreti bulgari, pienamente subalterni a quelli russi, non erano nuovi a simili operazioni. Erano infatti accusati di aver ucciso nel 1965 un eroe popolare della guerra, Ivan Todorov, generale dell’Armata bulgara, accusato d’aver ordito un colpo di Stato per rovesciare il regime pro-sovietico. Con la punta di un ombrello avvelenato, era stato ucciso a Londra lo scrittore dissidente Georgi Markov e mancato d’un soffio l’altro dissidente Vladimir Kostov. Nel 1950, Togliatti stesso era stato investito da un camion sulla strada statale per Pont-Saint-Martin nella sua amata Val d’Aosta. Non a caso, dopo lo scontro, Berlinguer rifiutò l’offerta bulgara di ricovero in ospedale e di un aereo per far ritorno in Italia. Sofia 1973: Berlinguer deve morire: questo è il titolo del libro asciutto e denso di fatti di Fasanella e Incerti per l’editore Fazi (pagg. 120, euro 11). Il libro spazia dalle verità emerse dai documenti dell’Istituto Gramsci, dalle carte affollate di nomi del Dossier Mitrokhin, dalle indagini giudiziarie italiane dei sostituti Ionta, Nitto Palma e De Ficchy, dal ruolo del «contatto confidenziale della residentur del Kgb a Roma» cioè l’onorevole Armando Cossutta, della «quinta colonna» del Partito comunista sovietico nel Pci, dalle vicende ancora non rivelate del terrorismo rosso, all’attività militante tra il ’68 e il ’72 di Pietro Secchia, vicepresidente dello stesso Pci, gradito a Mosca, di Giangiacomo Feltrinelli, al flusso di danaro sovietico giunto in Italia sino al 1987. Un elenco di fatti e persone non del tutto nuovi, ma certo significativi per i molti misteri della Prima Repubblica. Nella prefazione al volume, Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, come del resto gli autori, riferisce i motivi del contrasto acuto che opponeva Berlinguer ai dirigenti comunisti bulgari oltre che sovietici. Esso riguardava essenzialmente e sinteticamente la concezione della democrazia e del socialismo e la politica di potenza dell’Urss. Questi concetti furono, in Berlinguer, contrastanti con quelli di Mosca. Di qui il ricorso alle «misure attive contro Berlinguer» e alla manovalanza bulgara del crimine. Tutto questo risulta ormai dai fatti accertati. Nel libro viene ricordato il paragone che è stato anche esplicitamente formulato tra Berlinguer e l’ultimo Gorbaciov. Quei dirigenti italiani che «avevano vissuto i travagli di un conflitto sempre più aspro, ma anche le vicende terribili dell’infiltrazione sovietica nel terrorismo italiano», conservavano un’immagine benevola e amichevole dell’Urss. Più chiaramente ancora, nel 1991 nutrivano la certezza velleitaria della «emendabilità del comunismo».

La storia ha sconfitto questa utopia berlingueriana.

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