Michele Anselmi
da Roma
Magari non è ritorsione, solo antica ruggine. O magari non è proprio piaciuto. Troppo spiazzante e inclassificabile. Di fatto, Il regista di matrimoni, nuovo e atteso film di Marco Bellocchio, non andrà al Festival di Berlino (9-19 febbraio). Sembrava perfetto per rappresentare l'Italia, invece il direttore Dieter Kosslick, dopo averlo visto, ha fatto sapere che non se ne fa niente. Idem per Mare buio di Roberta Torre, altro titolo in predicato. Capita, naturalmente. Non basta un nome per garantirsi un posto in concorso, anche se i francesi a Cannes, di solito, non vanno tanto per il sottile, ospitando sempre gli stessi. E però c'è chi suggerisce che la «bocciatura» rientri in una storia recente non proprio all'insegna della cordialità. Per la serie: Berlino non ci ama. L'anno scorso un solo film tricolore in gara, il fragile Provincia meccanica di Stefano Mordini; l'anno prima era toccato all'anoressico Primo amore di Matteo Garrone. Parrebbe una strategia puntare sui giovani emergenti, lasciando a casa (o sistemandoli fuori concorso) gli autori consolidati. Ma come si fa a dire no a Bellocchio, tra l'altro reduce da due splendide prove, con successo di pubblico e critica, come L'ora di religione e Buongiorno, notte?
Se lo chiedono in molti, anche se nessuno, per ora, intende rinfocolare la guerra con Berlino. In un primo tempo prevista per metà febbraio, appunto in coincidenza col festival, l'uscita de Il regista di matrimoni scivolerà a marzo, se non addirittura ad aprile, alla vigilia di Cannes. Insomma, il no tedesco potrebbe trasformarsi in un sì francese (il film è stato visto), anche se, sul piano dell'evento mediatico, il direttore Thierry Frémaux punta tutto sul morettiano Il caimano, al quale potrebbe aggiungersi, se pronto, The golden door di Emanuele Crialese. Del resto, già due volte, prima con La balia e poi con L'ora di religione, Bellocchio finì col privilegiare la Croisette a scapito di Berlino, provocando qualche mal di pancia all'allora direttore Moritz de Hadeln, che pensava di averli in tasca.
Alle prese con il missaggio del film, il regista dei Pugni in tasca liquida così la faccenda. «Non ne so niente, non ho voluto gestire niente. In passato, è vero, con Berlino ci sono stati episodi sgradevoli. Ma arriva un momento, nella vita di un artista, nel quale è meglio sottrarsi. Intendiamoci, non dico che agoni del genere non siano nobili. Però sono contento così. In fondo si può uscire anche senza l'aiuto di un festival».
È un po la posizione di Raicinema, che ha sostanziosamente coprodotto il film. Dal quartier generale di Piazza Adriana fanno sapere: «Questo è un film che, per storia, regista e protagonista (Sergio Castellitto, ndr), non ha necessariamente bisogno di un festival. Pensiamo ad un'uscita indipendente». Tutto a posto, allora? Solo in parte. Sotto la cenere arde ancora la brace. Anche se da Berlino, derubricando la scelta a semplice fatto estetico, il direttore Kosslick consegna al Giornale la seguente dichiarazione: «La Berlinale tradizionalmente non rende pubbliche le motivazioni che hanno portato alla scelta di inserire o meno un film in programma. Rispettiamo molto Marco Bellocchio. È quindi assurdo ipotizzare che rapporti precedenti tra il nostro festival e il regista abbiano portato alla decisione di non includere il film». Dal canto suo, Vincenzo Bugno, delegato del festival per l'Italia, avverte: «La presenza italiana non sarà massiccia, ma consiglio di aspettare la conferenza stampa del 30 gennaio». Aspetteremo. Ma certo l'aria che tira non è delle migliori.
«Io l'ho visto, lo trovo bellissimo. Bellocchio cambia ancora registro e spiazza il pubblico. Io l'avrei subito preso in concorso», conferma invece Marco Müller, direttore della Mostra di Venezia. «Se non va a Berlino magari andrà a Cannes, dove starebbe benissimo. Ma è inutile stare a polemizzare. Sui criteri di selezione di Berlino se ne sono sentite tante. Mi pare di capire che, per l'Orso d'oro, vogliano puntare solo sui nuovi autori. La conferma? Quest'anno registi famosi come Zhang Yimou e Chen Kaige saranno fuori competizione», precisa Müller, annunciando la sua presenza, in veste di produttore, con il cinese-italiano La guerra dei fiori rossi di Zhang Yuan.
Intanto, intervistato da l'Espresso, Bellocchio spiega così il senso della nuova creatura. «Non è né un film di affettuosa morbosità verso il cinema, né appartiene a quella serie di capolavori come 8 ½ o Effetto notte, dove la macchina cinema era al centro di tutto.
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