da Roma
Ma non era scoppiato lamore tra il festival di Berlino e il cinema italiano? Appena due mesi fa, il 14 novembre, il direttore della Berlinale, Dieter Kosslick, volò a Roma per annunciare: «LItalia sarà ben rappresentata questanno. I film italiani belli sono anche troppi, dovremo per forza attuare una selezione». In quella stessa occasione, baciato dal buon umore, sparse complimenti pure sulla Festa di Roma: «Una manifestazione ben fatta, molto ben accolta dalla stampa tedesca. Gli organizzatori hanno svolto un lavoro egregio».
Contrordine. Alla vigilia della conferenza stampa ufficiale, in programma stamattina, risulta al Giornale che lunico titolo italiano in concorso sia In memoria di me di Saverio Costanzo, già regista del premiatissimo Private. Per il resto, salvo sorprese dellultimora, il cinema tricolore ha poco da festeggiare a Berlino (8-18 febbraio). E sì che i titoli gettonabili non mancavano. Da Saturno contro di Ferzan Ozpetek (nelle sale il 2 marzo) a La cena per farli conoscere (nelle sale il 26 gennaio) di Pupi Avati, il primo dei quali dato quasi per certo fino a qualche giorno fa nella sezione Panorama. Benché visto dai berlinesi, non ci sarà nemmeno Cento chiodi di Ermanno Olmi, con un inedito Raz Degan professore universitario, pronto da mesi e oggetto di acide controversie festivaliere. Sono pronti pure Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti, Lezioni di volo di Francesca Archibugi e Cosa c'è? di Peter Del Monte; solo che tutti e tre aspirano a un passaggio sulla Croisette, al pari di quel La masseria delle allodole dei fratelli Taviani sul genocidio degli armeni.
Altri film di rilievo non si vedono allorizzonte. Vai a sapere, a questo punto, se è Berlino a snobbare lItalia o gli italiani a snobbare Berlino. Certo, qualcosa sè rotto. Basta dare uno sguardo alla presenza tricolore nel concorso delle ultime edizioni. 2006: Romanzo criminale di Michele Placido. 2005: Provincia meccanica di Stefano Mordini. 2004: Primo amore di Matteo Garrone. Sembrerebbe quasi una strategia. Puntare preferibilmente su giovani autori emergenti, lasciando a casa i venerati maestri. O magari è una scelta obbligata: nel senso che Berlino, sul piano mediatico, non garantirebbe lesposizione sognata dai nostri produttori.
Di sicuro, il recente botta e risposta tra Kosslick e Goffredo Bettini bene illustra lo stato delle cose. Rimangiandosi quanto detto a novembre, il direttore della Berlinale ha accusato la Festa romana di spendere milioni di euro, addirittura 20, per assicurarsi la presenza delle star americane. «Non ho intenzione di correre in giro per Hollywood con un libretto di assegni in mano, come stanno facendo alcuni festival», accusa Kosslick. E ironizza: «La tendenza è evidentemente quella di passare dalle world première alle money première». Al che Bettini, contestando le cifre, così ha replicato su lUnità: «Dispiace che il successo ottenuto dalla nostra iniziativa susciti gelosie che spingono alcuni a sviluppare vere e proprie campagne distruttive e così estreme da apparire ridicole». Tiè!
Non si cura di queste miserie il trentunenne Costanzo, anche ieri pomeriggio al lavoro a Cinecittà sulledizione del suo ambizioso In memoria di me. Un titolo che piacerebbe a Bernanos, scrittore che sinterrogò non poco sui tribolati rapporti tra fede e morale, tra vocazione e libero arbitrio. Ispirato al romanzo di Furio Monicelli Il gesuita perfetto, scritto nel 1960 e ripubblicato col titolo Lacrime impure, il film racconta il tormentato noviziato nella Compagnia di Gesù di un giovane sacerdote, il ventisettenne Andrea, incarnato sullo schermo da Christo Jivkov.
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