Milano - L’affondo di Silvio Berlusconi contro il governo di Mario Monti arriva lontano dai luoghi della politica: in un buio corridoio del palazzo di giustizia di Milano, dove il Cavaliere ha assistito (palesemente annoiato) all’ennesima udienza del processo Mills. È qui, nel botta e risposta ormai consueto con i cronisti giudiziari, che l’ex premier manda al suo successore un messaggio di una pesantezza senza precedenti. Il governo Monti ha fallito, dice senza mezzi termini Berlusconi, tanto che «paradossalmente», sarebbe giusto richiamare in sella il vecchio governo, legittimato dal voto degli italiani; solo l’assenza di alternative rende impossibile staccare la spina a Monti. Berlusconi non ha affatto l’aria di chi sta facendo una battuta o parlando con leggerezza. C’è solo quell’avverbio, «paradossalmente», ad attenuare un po’ la potenza della stoccata. Ma il giudizio sul fallimento di Monti è privo di subordinate.
A innescare l’affondo del Cavaliere è una domanda sui rapporti con la Lega, su Bossi che lo accusa di parlare tanto ma di reggere il moccolo a Monti: «Io in realtà parlo poco - ribatte Berlusconi - tant’è vero che qualcuno dei vostri colleghi mi ha mandato invocazioni disperate...». E poi: «Noi abbiamo scelto il male minore che è stato quello di sostenere un governo tecnico perché c’era un attacco ossessivo nei confronti del nostro governo e del presidente del Consiglio in particolare cui si addebitavano le colpe della situazione degli spread e della crisi delle Borse. Ci siamo fatti da parte con senso di responsabilità e credo anche in modo elegante. È intervenuta la cura che è consistita in un governo tecnico. La cura non ha dato alcun frutto e quindi se dovessi dire paradossalmente ci aspetteremmo di essere richiamati a occupare le posizioni di governo che avevamo prima visto che questa è la democrazia e noi siamo stati eletti dagli italiani».
Berlusconi non si dice pentito di avere fatto il famoso «passo indietro», «è stato necessario perché non oso immaginare cosa sarebbe successo se rimanendo inalterata la situazione dello spread e delle Borse tutto sarebbe stato addebitato a noi»; e non annuncia la fine imminente dell’esperienza di Monti a Palazzo Chigi, «staccare la spina sarebbe inutile, finché non c’è una situazione alternativa che promette di esser positiva si va avanti cosi». E d’altronde l’idea di tornare al governo senza avere cambiato le regole non lo attira particolarmente, «se non si riesce a fare una modifica dell’architettura istituzionale del Paese le cose non possono cambiare perché il presidente del Consiglio non ha nessuna possibiltà di influire, può solo proporre al Parlamento che ci mette 18 mesi, quando poi diventa legge se non piace alla sinistra mettono su un referendum, come hanno fatto con una legge che riduceva il numero dei parlamentari, e se non piace a Magistratura democratica la fanno abrogare dalla Corte costituzionale. Il sistema politico è retto da regole che sono state fatte dai padri costituenti molti anni fa. È un Paese assolutamente ingovernabile».
Insomma, Monti ha le sue attenuanti, sembra voler dire Berlusconi: e alla vetustà delle regole democratiche si assommano le difficoltà economiche internazionali, il peso di una crisi che ha dimensioni continentali, «non è in Italia che si può risolvere la situazione, è l’Europa che è in crisi, e non se ne esce fin quando non ci sarà una vera Banca centrale europea in grado di sostenere la moneta come avviene in America e in Giappone». C’è la Merkel, che «bisogna convincere ad approvare gli eurobond». Ci sono i cinesi, che «ogni anno fanno entrare sul mercato del lavoro ventitrè milioni di persone, cioè l’intera forza lavoro di Paesi come Italia e Francia», e «sono pagati un dollaro all’ora, lavorano dodici ore al giorno, non sono sindacalizzati».
Insomma, qualche scusante per il nuovo governo se lo spread rimane alle stelle, Berlusconi la riconosce, «questa è la situazione che credo nessuno al governo possa arrivare a cambiare». Ma la valutazione dell’operato di Monti è comunque severa e netta.
E al nuovo esecutivo Berlusconi sembra attribuire anche un po’ della colpa del disorientamento degli italiani, «questa situazione ha fatto sì che ci sia un esercito del 45 per cento di italiani che sono indecisi, che si domandano per chi votare, per cosa votare e se andare a votare». Certo, fin quando non si metterà mano alle riforme, il Paese resterà ingovernabile. Ma nel frattempo Mario Monti è avvisato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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