Roma - «Sono pronto a fare la campagna elettorale da dentro l’aula del tribunale di Milano. Vedrai, non mi perderò neanche un’udienza...». Silvio Berlusconi guarda il suo interlocutore e gli allunga quella che è una vera e propria memoria difensiva sul caso Mills, un testo già letto e limato più volte nel quale il premier spiega punto per punto le sue ragioni. D’altra parte, il Cavaliere dà praticamente per scontato che la Corte Costituzionale casserà la legge sul legittimo impedimento e si sta dunque preparando per quando riprenderanno i tre processi al momento «congelati» (Mills, Mediatrade e Diritti tv).
Ed è anche guardando alla decisione della Consulta - questo almeno è stato il suo ragionamento durante un faccia a faccia con un parlamentare di lungo corso - che Berlusconi è «stufo» di rincorrere su troppi tavoli. C’è il caso Fini e la sua «pattuglia di guastatori», ma ci sono anche le beghe interne al Pdl, ultima in ordine di tempo il caso Carfagna. Berlusconi, insomma, si sta convincendo che tanta fatica finirà sprecata visto che anche se andasse a buon fine il voto di fiducia in programma a Camera e Senato il 14 dicembre sarebbe subito «scavalcato» dalla sentenza della Consulta. Anche incassando la fiducia, insomma, la tregua durerà al massimo qualche giorno.
E forse è questa la ragione che nelle ultime ore ha portato Berlusconi ad affondare i colpi. Con la telefonata a Ballarò di martedì sera, ma soprattutto durante la conferenza stampa di ieri insieme a Giorgia Meloni. D’altra parte, osserva Guido Crosetto, «anche a dar retta ai sondaggi a noi meno favorevoli con questa legge elettorale non possiamo che vincere sia alla Camera che al Senato». A meno che, aggiunge, «non facciano un fronte unitario dal Fli a Grillo passando per Udc, Pd e Idv». Il Cavaliere, insomma, potrebbe aver deciso che è finito il tempo di stare a guardare in attesa di una tregua che il Fli non ha alcuna intenzione di concedere.
Così, a chi gli chiede se abbia pensato di «fare un passo indietro» come vorrebbero le opposizioni replica senza girarci troppo intorno: «Credo che a farlo dovrebbero essere altri. Come il presidente della Camera che invece di essere super partes è stato di parte e ha fondato un partito sulla sua figura di leader». E ancora: «Ciascuno dovrebbe restare fedele al voto ricevuto. L’Italia ha bisogno di tutto, fuorché di qualcosa che non sia stabilità di governo». Apriti cielo, perché l’implicita richiesta di dimissioni di Fini fa esplodere i finiani che per tutta risposta minacciano di far saltare la riforma dell’università che si sta votando alla Camera. Al punto che Paolo Bonaiuti è costretto ad appellarsi a tutta la sua esperienza per buttare giù una smentita scivolosissima: «È sufficiente leggere le dichiarazioni testuali di Berlusconi per comprendere che non ha chiesto le dimissioni di Fini. L’invito a fare il passo indietro riguardava la posizione politica e le indicazioni di alcuni esponenti del Fli di votare la sfiducia al governo nonché l’ennesima richiesta di dimissioni di Berlusconi». Sarà.
Il Cavaliere lancia poi un appello a Casini, invitandolo a dare l’appoggio esterno al governo. «Penso che l’Udc - dice il premier - abbia perso un’occasione quando c’è stata l’operazione dei finiani. In un momento di crisi globale era importante continuare con un governo solido e con quasi tre anni di lavoro c’era per l’Udc l’occasione di farsi avanti». Di qui, l’invito a ripensarci: «Lo facciano nell’interesse del Paese appoggiando una maggioranza e un governo dall’esterno». Appello che Casini rispedisce prontamente al mittente: «Prima le dimissioni, poi discutiamo». Insomma, forse non ha torto Francesco Nucara quando dice che in politica sono necessarie scelte drastiche. E che se Casini non vuole sostenere il governo allora Berlusconi dovrebbe «sbatterli fuori» dalle giunte di Lazio, Campania e Calabria. «Numericamente non sono determinanti - spiega il segretario del Pri - ma hanno valanghe di assessori che gestiscono voti e potere».
Il premier torna anche sul voto di fiducia in programma il 14 dicembre. «Credo che avremo la maggioranza sia alla Camera che al Senato, una buona maggioranza», dice. Se così non fosse, «se non sarà possibile governare», è chiaro che «ci recheremo dal capo dello Stato e con la maggioranza delle due Camere chiederemo il ritorno dagli elettori».
Un voto sempre più vicino se ieri c’è stato pure un inedito botta e risposta tra Berlusconi e Luca Cordero di Montezemolo. «Mentre gli altri parlano, noi facciamo», lo punzecchia il Cavaliere. «Il one man show è finito», replica a stretto giro il presidente della Ferrari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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