Berlusconi frena il Pdl sul corteo contro le toghe

Verdini: "Il Cavaliere commosso dal sostegno della gente ma ha scelto un profilo di responsabilità"

Berlusconi frena il Pdl sul corteo contro le toghe

Roma - Il grande corteo contro le toghe politicizzate non si farà. È Silvio Berlusconi in persona a far calare il sipario sull’ipotesi di una prova di forza dei militanti azzurri davanti al tribunale di Milano. Uno scenario prospettato dai vertici lombardi del partito - e sollecitato con forza dalla base - che non ha fatto breccia nella linea della responsabilità sposata dall’ex premier e ha trovato l’opposizione tanto di Angelino Alfano che di Gianni Letta.
La parola fine viene scritta ufficialmente in mattinata da Denis Verdini, con un comunicato.

«Alla luce delle indiscrezioni apparse sui giornali e della solita leggenda metropolitana (anzi, ornitologica) che vorrebbe il Pdl popolato da falchi e colombe, mi sembra opportuno precisare quanto sta realmente accadendo» dice il coordinatore del Pdl Denis Verdini. «È vero, posso confermare che da giorni siamo inondati da mail, telefonate e richieste di cittadini, militanti e dirigenti locali del Pdl che premono per una grande manifestazione nazionale di sostegno al presidente Berlusconi e di sollecitazione alla grande riforma liberale della giustizia italiana» spiega Verdini.

«Comprendiamo le ragioni e i sentimenti del popolo azzurro, e sappiamo bene che da anni, in Italia, si accetta quel che non sarebbe immaginabile in nessun grande Paese occidentale: un pervicace uso politico della giustizia, il tentativo di colpire l’avversario politico per via giudiziaria e di mettere in discussione nei tribunali ciò che gli elettori hanno deciso nelle urne». «Ma la manifestazione, almeno per ora, non ci sarà - chiarisce Verdini - Il presidente Berlusconi è emozionato e commosso per questa ondata di calore, che lo rafforza nel desiderio di moltiplicare il suo impegno per il Pdl e il Paese ma ha scelto un profilo di responsabilità al quale non intende derogare. Ringrazio anch’io quanti continuano a sollecitare forme di mobilitazione: e non mancheranno tempi e modi per esprimere vicinanza al presidente e per confermare la volontà di contribuire a un profondo rinnovamento del Paese».

Il ragionamento alla base di questa scelta è basato su una doppia convinzione. Innanzitutto l’inopportunità di rilanciare l’offensiva sulla giustizia in un momento in cui la crisi economica si fa sentire sulla pelle degli italiani. In secondo luogo il sospetto che questa scelta possa soltanto contribuire a esacerbare il clima di un processo che tutto lo stato maggiore del Pdl giudica come «il più politico» di tutti quelli celebrati contro Berlusconi. Sullo sfondo continua un sotterraneo braccio di ferro. Quello tra i «realisti-montiani», coloro che ritengono l’appoggio al premier l’unica opzione possibile, e gli «orgogliosi-identitari», ovvero quei dirigenti che ritengono che il Pdl debba liberarsi di tre catene: l’appoggio obbligato a Monti; il tentativo di tenere viva a ogni costo l’alleanza con la Lega; il corteggiamento con l’Udc.

Questi ultimi pretendono che passi il principio della «reciprocità» nei rapporti con la Lega, ovvero se il Carroccio rifiuta là dove si sente forte il sostegno del Pdl, allora questo deve valere per tutte le città in cui si va a votare. «Troppo facile andare soli dove si ha un sindaco forte e chiedere il nostro appoggio dove sono in bilico» spiega un dirigente. L’altro fronte che qualcuno vorrebbe riaprire è quello delle province.

«Se non è possibile abolirle in toto, almeno si promuova una severa politica di accorpamenti».

I malpancisti del Pdl pretendono anche che il governo affronti il nodo dell’articolo 18, senza piegarsi ai diktat della Cgil. Un test su cui verrà misurata la credibilità (e la possibilità di sopravvivenza) del governo Monti.

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