nostro inviato a La Maddalena
«Sconcertato». Rigorosamente in privato, perché aprire oggi un fronte interno potrebbe essere una strada senza ritorno, Silvio Berlusconi commenta le dichiarazioni di Gianfranco Fini usando le stesse parole di mercoledì sera a Villa Madama, dove era impegnato nella cena del G8 dei ministri delle Pari opportunità insieme a Mara Carfagna. Allora l'affondo del presidente della Camera aveva seguito una telefonata tra i due che il premier non aveva esitato a definire «cordiale» e una pubblica apertura di credito da parte di Berlusconi. Ieri la replica, attesa fino a un certo punto. Il Cavaliere, infatti, non aveva troppi dubbi sul fatto che Fini avrebbe ribadito anche nel suo intervento al seminario di Gubbio la necessità di un maggior dibattito interno nel Pdl, ma toni, modi e soprattutto sfumature sono andate «ogni oltre limite».
Del j'accuse del presidente della Camera, Berlusconi inizia ad avere contezza mentre è a pranzo con Zapatero al termine del vertice italospagnolo alla Maddalena, ma coglie fino in fondo il peso delle sue parole solo quando è ormai sulla via di Villa Certosa, lasciata a sera con destinazione Roma. Quel che non passa inosservato, infatti, non è tanto l'insistere negli affondi dopo che da almeno 24 ore il Cavaliere manda segnali di pace, quanto il riferimento alle indagini sulle stragi di mafia del 1992. «Un messaggio - spiega un ministro molto vicino al Cavaliere - che per restare in tema può essere tranquillamente definito mafioso».
Berlusconi, insomma, prende tempo. Perché se già mercoledì sera la tentazione di replicare alla nota «inaspettata» di Fini («è riduttivo parlare di fraintendimenti») era tanta, ieri il termometro è salito oltre il limite del lecito. La risposta, è il ragionamento del premier, va ponderata. Segno che Berlusconi non esclude di dire senza giri di parole quel che pensa delle accelerazioni dell'ex leader di An colpito dalla sindrome del presidente della Camera. Un chiaro riferimento a quando sullo scranno più alto di Montecitorio sedeva Pier Ferdinando Casini.
Neanche la mediazione continua di Ignazio La Russa, dunque, riesce in qualche modo a rasserenare il clima. Il ministro della Difesa, infatti, cerca di «sgombrare il campo da accuse malevole» e spiega che «Fini ha sottolineato la solidarietà a Berlusconi perseguitato in questi anni». Anche se poi aggiunge: «Gianfranco sbaglia, evidentemente ha un termometro che registra poco la temperatura, ma mi piace perché ci stimola». Parole che sul Cavaliere scivolano completamente perché è chiaro che «non siamo mai stati così vicini al punto di non ritorno». Daltra parte, l'invito a «non lasciare nemmeno il minimo sospetto sulla volontà del Pdl di accertare la verità sulle stragi di mafia» non poteva non sollevare un vespaio dopo che Berlusconi aveva detto che le procure di Palermo e Milano stanno «cospirando» contro di lui. Il non detto, che è tam tam nel Palazzo da tempo, è che in Sicilia sia pronta a esplodere un'inchiesta a carico del premier come mandante occulto delle stragi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un rumor che non può non essere arrivato alle orecchie del presidente della Camera.
Per questo c'è chi parla di «messaggio mafioso», lasciando intendere la volontà di Fini di scendere in campo nel secondo assalto al Cavaliere dopo quello del G8. Allora, erano in molti a vedere nell'appuntamento dell'Aquila il momento del redde rationem. Oggi il timing è stato spostato sul 6 ottobre, quando la Consulta deciderà del Lodo Alfano. È questo quello che non dicono ma pensano quasi tutti nel Pdl. Eloquente, per esempio, la chiosa di uno dei triumviri del Pdl, Denis Verdini: «Da Fini non vogliamo premi ma neanche cazziatoni». Mentre proprio sul capitolo mafia punta il dito il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri. «La magistratura sulle stragi si è già pronunciata e ci sono già i colpevoli.
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