Roma - Questa volta l’asse del Nord s’è incrinato davvero. Al punto che quando a Palazzo Grazioli mettono sotto il naso di Berlusconi la dichiarazione in cui Bossi dice che le sue dimissioni da presidente del Consiglio sono state il risultato di un «ricatto» alle sue aziende il Cavaliere reagisce con parole che definire colorite è poco. «Questo è fuori di testa!», insomma, è solo una formula edulcorata di quella che i presenti raccontano sia la risposta a caldo dell’ex premier. Ed è lui, nonostante alcuni dei suoi collaboratori predichino prudenza, a voler rispondere a stretto giro. La nota chiesta da Berlusconi viene limata e non c’è alcun riferimento al Senatùr e alla Lega. Ma il senso è chiarissimo. «Le dimissioni del presidente Berlusconi da Palazzo Chigi sono state motivate dal senso di responsabilità e dal senso dello Stato, nell’interesse esclusivo del Paese. Non esiste alcun altra motivazione».
La replica all’uscita di Bossi, dunque, è netta. E anche piuttosto fredda. Segno di un clima che si va facendo sempre più difficile con il passare dei giorni. Non è un caso che ieri Berlusconi e Bossi si siano limitati a parlarsi via agenzie, senza alcun contatto diretto o ricerca di chiarimenti. Nessuna cena del lunedì ad Arcore questa settimana e nessuna ce ne sarà la prossima. Come se marito e moglie fossero ormai consapevoli che il matrimonio è a rischio e che non saranno le parole e le spiegazioni - ma i fatti - a dire come finirà.
Già, perché non ha torto Gregorio Fontana, deputato del Pdl e bergamasco doc, quando dice che «purtroppo ci dovremo abituare a questa situazione». D’altra parte, spiegava giorni fa l’ex ministro Raffaele Fitto, «con la Lega ora c’è un rapporto nuovo». Che nelle prossime settimane si snoderà tra voti in commissione e in aula seguendo probabilmente strade diverse. I fatti, appunto. E se il Pdl - magari in modo critico e qualche volta a malincuore - è deciso ad appoggiare i provvedimenti del governo Monti, tutt’altra linea terrà il Carroccio. Convinto a fare opposizione dura e pura nonostante, spiega Fontana, «questa posizione non sembri pagare rispetto all’elettorato che dal 1994 ad oggi ha fatto parte del bacino del Carroccio». Tanto che gli ultimi sondaggi nella mani del Cavaliere danno la Lega ferma al palo: 8 per cento, come prima della caduta del governo e del ritorno al Carroccio «di lotta» contro Monti.
Insomma, la prima frattura è arrivata davvero. Anche perché l’affondo non è venuto dai cosiddetti maroniani, ma dal leader indiscusso. Colui che nella testa e nelle dichiarazioni di buona parte dei vertici di via dell’Umiltà sarebbe stato il garante con Berlusconi dell’asse Pdl-Lega. E invece niente.
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