Fabrizio de Feo
da Roma
La matassa della Grande Riforma, intessuta attraverso cinque anni di lavori parlamentari, ridotta a brandelli dal 61% di italiani. I lunghi mesi di difficili mediazioni, la sequenza infinita di riunioni serrate, convocate per limare questo o quel passaggio e renderlo compatibile con i desideri di tutte le forze della coalizione, i «ritiri» nelle baite di montagna e i tanti voti al cardiopalmo consumati in Parlamento. E poi, alla fine di questa parabola, un secco «No» apposto sulla scheda da una nutrita maggioranza di elettori a picconare fino alle fondamenta il nuovo edificio costituzionale.
Il boccone referendario è amaro da ingoiare per chi, come Silvio Berlusconi, si è speso più di altri e sempre in prima persona per la modifica dellarchitettura istituzionale del nostro Paese. Il leader di Forza Italia, però, si sforza di mantenere un atteggiamento di grande pacatezza e regala parole di conforto a chi lo contatta. Lex premier trascorre la mattinata in famiglia a Macherio, dopo aver votato la sera di domenica in via Scrosati a Milano. Nel pomeriggio di lunedì si sposta, però, ad Arcore dove segue passo passo lo spoglio, con una pausa solo per vedere in tv la partita dellItalia.
La ferita è fresca e, ovviamente, lamarezza è difficile da nascondere. «È una grande occasione perduta - ripete Berlusconi -. Si è persa unoccasione storica, per far funzionare meglio e ammodernare il Paese. Con questa riforma avrebbero funzionato meglio lo Stato, il Parlamento e le Regioni». E poi ancora: «Lesito era previsto ma quando succede fa sempre male». Il leader azzurro fa riferimento ad alcuni sondaggi che gli erano stati sottoposti fin da giovedì scorso e che lasciavano poco spazio alle illusioni. «Il pareggio conseguito alle Politiche era stato figlio dellalta percentuale» ragiona Berlusconi con i suoi. «In un voto di questo tipo lelettorato militante e irreggimentato per tradizione e cultura ha la meglio. Difficile mobilitare lelettorato liberale. Ha vinto unimpostazione di tipo ideologico, le parole dordine piuttosto che i confronti sul merito». Con i suoi collaboratori Berlusconi constata come «la divisione in due dellItalia stia diventando un dato endemico». E si dice sicuro che il voto «non produrrà alcuna ripercussione sulla coalizione». Unica consolazione il fatto che «metà del Pil abbia votato sì» come fa notare un dirigente del partito. Su un punto Berlusconi non lesina certezze: «Di certo abbiamo la coscienza a posto per limpegno profuso da Forza Italia».
In serata, poi, il presidente di Forza Italia compie il primo passo verso il futuro, il primo tentativo di voltare pagina e riprendere in mano i fili delliniziativa e invita ad Arcore lo stato maggiore della Lega per discutere delle prossime mosse politiche. Al vertice prendono parte Umberto Bossi, Giulio Tremonti, Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti. Berlusconi, in realtà, aveva già invitato Bossi a raggiungerlo nel pomeriggio, anche per vedere insieme la partita della Nazionale. Ma il Senatùr aveva preferito seguire landamento dello spoglio nel suo studio in via Bellerio. Lobiettivo, più o meno dichiarato del Cavaliere, daltra parte è evidente: rinsaldare il legame con lalleato leghista in un momento difficile. E far capire che la doccia fredda del verdetto referendario non può e non deve spegnere il fuoco del cambiamento. Cè anche un altro elemento che ricorre durante il vertice: la possibilità di accendere un dialogo serio sulle riforme con il centrosinistra. Unopzione, quella del tavolo «bipartisan», che Berlusconi non scarta affatto pur di non buttare al vento un lavoro lungo cinque anni. La «linea» è chiara: nessun soccorso da parte della Cdl sulla politica economica ed estera. Ma se arriverà unofferta di dialogo seria e priva di trabocchetti sulle riforme da parte dellUnione la porta del centrodestra sarà aperta.
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