Roma - «E che potevo dire...». Nella ressa che lo segue passo passo tra le prime file del teatro Capranica, Silvio Berlusconi allarga le braccia e tira giù un sorriso. Chi gli si fa incontro per chiedere un autografo o passargli la moglie al cellulare per un saluto veloce («guarda amore che non è uno scherzo...») non pare affatto preoccupato dai titoli dei giornali che in mattinata formalizzavano l’investitura di Gianfranco Fini. Che, spiega il Cavaliere a chi gli sta intorno, non c’è mai stata. «L’altra notte - dice - mi hanno solo chiesto se Fini poteva essere un degno candidato per la guida del partito unico e io ho risposto di sì. Ci mancherebbe altro, più degno di lui. Poi, però, hanno omesso la domanda ed è sembrato quasi che fossi stato io a lanciarlo. La verità, come ho sempre detto, è che i leader sono indicati dalla base, dagli elettori». Insomma, nessun passo indietro. Come ripete alla signora impellicciata che gli si fa incontro fendendo la calca che lo circonda come fosse una muraglia umana. Che è abbastanza instabile se pure l’azzurra Mara Carfagna dopo una breve stretta di mano è costretta a ripiegare verso il fondo della sala scavalcando le prime file di sedie. «Stia tranquillo - ripete a un giovane con taglio di capelli punk anni Ottanta che gli dice di aver appena aperto un Circolo della libertà - che non ho nessuna intenzione di mollare, c’è così tanto da fare...». Poi si fanno avanti mamma e figlia («veniamo da Ascoli») a chiedere una foto. «Guardi che sono uno che allunga le mani...», scherza Berlusconi. Seguono una lunga risata e un buon numero di scatti. «Allora niente successione?», si alza una voce da dietro. «Vedremo, vedremo... Magari alle prossime elezioni. E poi non c’è solo Fini, ma tutti coloro che vorranno proporsi. Comunque - spiega l’ex premier con un gesto della mano che pare eleoquente - di tempo ce ne vorrà ancora molto».
Messo in chiaro che non ha alcuna intenzione di mollare, si concede una breve digressione con le deputate azzurre Laura Ravetto e Paola Pelino. Con la prima scherza sul fidanzato («guarda che lo conosco»), mentre con la seconda mette su un siparietto con Paolo Guzzanti che l’ha appena urtata involontariamente («che fai tocchi?»). Poi, stretta di mano e complimenti con altre deputate di Forza Italia, Fiorella Ceccacci ed Elisabetta Gardini, che hanno seguito sedute in prima fila tutto il dibattito organizzato dalla fondazione Liberal di Ferdinando Adornato. E proprio la Gardini è gettonatissima, costretta a firmare dediche mentre Berlusconi sta ancora lasciando la sala prerinascimentale del Capranica. Uscirà dal retro, per dribblare i curiosi e (senza successo) i cronisti.
Così, dopo il lungo intervento, si torna sui temi del giorno. Il Cavaliere parla del centrodestra e lo definisce «l’alternativa definitiva» alla sinistra. Poi attacca il governo e la maggioranza, accusandoli di aver aperto una «frattura» con gli Stati Uniti sulla base Usa di Vicenza e di essere «inaffidabile» in politica estera perché sotto «ricatto della sinistra estrema». Conferma «disponibilità al dialogo» con la maggioranza, ma sottolinea come sia l’Unione a non poter avviare un confronto sereno proprio per il «diktat» della sinistra («neanche Napolitano riesce a convincerli»). E spiega: «Siamo pronti ad accogliere l’invito al dialogo del capo dello Stato con una soluzione che risolva la situazione di crisi che questa maggioranza ha creato, ma i protagonisti della sinistra non hanno nessuna intenzione di farlo perché l’unico loro obiettivo è il mantenimento del potere». Poi, boccia l’ipotesi di portare in piazza cinque milioni di italiani contro il ddl Gentiloni. «È un grande equivoco: non posso dire delle cose che sono addirittura negative per la battaglia che vogliamo fare», spiega. E ancora: «Prima delle piazze c’è un Parlamento responsabile». Durissimo, invece, sull’abolizione dell’inappellabilità, «una delle norme più democratiche e civili che avevamo introdotto». Infine, la Federazione. «Non è importante», dice, farla prima delle amministrative, visto che è utile soprattutto quando si è al governo «per evitare che un determinato progetto venga bloccato». «Comunque, ci stiamo lavorando. Fini ci crede e anche io e Rotondi. Per il Pri, invece, bisogna aspettare il congresso». E la Lega? Per loro «sarebbe una garanzia» perché «nella Fed si possono decidere in modo impegnativo cose importanti come l’atteggiamento da tenere sulla legge elettorale».
Unica nota stonata l’Udc. Che nel giorno in cui l’asse con Fini pare farsi ancora più saldo è la principale destinataria delle sue critiche. Mai palesi, ma abbastanza eloquenti se durante il suo intervento se la prende «con quegli alleati che non hanno voluto modificare la par condicio», che «non hanno voluto abbassare l’aliquota massima al 33%» e che «ci hanno impedito di fare chiarezza sulle cooperative rosse perché dovevano tutelare le bianche».
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