Gianni Pennacchi
nostro inviato a Bruxelles
A mezzanotte da un pezzo trascorsa, anche il lussemburghese Juncker sè arreso e li ha lasciati andare. La prima delegazione a scendere è stata proprio la nostra. E là, in quel famoso e ora fumoso budello che sfocia nel cortile dei potenti, sotto quel basso soffitto riecheggiante di storiche dichiarazioni, si sono accesi i riflettori e risvegliata lattenzione dei giornalisti. Berlusconi appariva affaticato, alquanto provato ma affatto distrutto, capelli e look in ordine come sempre. Per niente turbato, in verità. Anzi, sostanzialmente indifferente per quel risultato che lo aveva preceduto dal 50° piano e ormai noto al gruppone degli accalcati. Del resto lo aveva detto egli stesso, alle 18 nella hall dellalbergo, prima di far ritorno a Palais Justus Lipsius, che preferiva «un rinvio» a un accordo di basso profilo e «ancorato al passato». Sereno e calmo, il premier ha spiegato che «non ha vinto e non ha perso nessuno», mentre Fini annuiva in silenzio a pochi metri da lui. «Non bisogna drammatizzare», ha insistito ripetendo quanto aveva già detto prima del fallimento del Consiglio europeo: «Cè ancora un anno di tempo per lavorare e trovare un accordo che guardi alla spesa da indirizzare verso il futuro, ovvero in favore di istruzione, innovazione e ricerca. Si può partire da dove si è arrivati... lEuropa continua a esistere». Avete dubbi che Berlusconi non sia «ottimista come al solito», anche in una notte buia come questa? Poi lintera delegazione italiana è sfrecciata direttamente allaeroporto di Bruxelles per far ritorno a Roma, con sirene e lampeggianti blu che fendevano una città deserta e addormentata.
Così, a notte fonda, è terminata la più lunga e vana maratona dei 25 grandi dEuropa. Con un nulla di fatto, dopo unaltalena che alternava segnali di fumo nero a sussurri di pace e accordo. Un risultato che per Berlusconi non è affatto negativo, ma sarebbe sbagliato pensare che il nostro governo abbia remato contro, si sia dato da fare per il fallimento del summit, pur tifando per lInghilterra. Anzi. «Eravamo riusciti a portarci su posizioni accettabili, garantendo allItalia 18 miliardi di euro per opere infrastrutturali», ha infatti raccontato il nostro presidente del Consiglio, «perché avevamo condotto bene la trattativa e quindi potevamo sopportare il costo di questo accordo, sulla base dello 0,36% del Pil come contributo netto e in piena linea con i maggiori Paesi dellUnione». Tantè che lItalia ha votato a favore dellultima proposta elaborata dal presidente di turno. Ma poiché è finita ugualmente bocciata, meglio così: si potrà lavorare a un «nuovo accordo per il futuro», non basato «sugli accordi del passato».
Una corsa aggiuntiva e disperata alla quale i nostri non si son sottratti. Ripresa alle 18, dopo due giornate davvitamento e senza risultati. Allultimo appello delle 18, mentre Juncker avviava i «confessionali», cioè gli incontri bilaterali per saggiare e raccogliere il minimo comun denominatore, il caffè ha preso a scorrere a fiumi nel grande salone della plenaria trasformata in sala dattesa. Nella saletta del testa a testa entrava Berlusconi, e di là ecco Blair che savvicinava a Chirac con una tazza in mano - la calda bevanda della tregua per riannodare il dialogo - in un viavai brulicante e sempre più stanco di ministri, assistenti e sherpa. Da Juncker entrava Chirac, ed ecco Berlusconi e Fini raccogliersi a parlare in disparte con Blair. Col caffè che andava in tutte le sue forme, francese, espresso, decaffeinato pure. Schröder sembrava il meno interessato, per lintera sera con la testa da tuttaltra parte: se ne è stato sulla terrazza da solo per due ore, sempre fumando e con un bicchiere di birra in mano.
AllItalia non era andata poi così male. Già la prima bozza di mediazione, quella pomeridiana, secondo Berlusconi «andava nella direzione giusta», poiché i fondi Ue per il nostro Sud risalivano dai 15 miliardi minacciati sino a 18, cera insomma da sacrificarsi per 500 milioni deuro. Ma bisognava «definire alcuni dettagli», aveva puntualizzato: ad esempio, la Sardegna avrebbe conservato anche i fondi che le spettano come isola? Questo è «irrinunciabile». Nel confessionale, Juncker ci aveva dato soddisfazione, dunque lItalia offriva «la sua disponibilità, nonostante ciò comportasse qualche sacrificio».
Anche giù, nelle sale stampa al pianterreno ormai un bivacco, lattesa si trascinava logorante. A scuotere i giornalisti ha provveduto un grido allegro, «Ahò, so tornati i gadget!». Tutti in piedi e vispi, ma non era vero. Già, quei 100mila euro di consueti regalini per linformazione, son stati dirottati contro lAids in Africa. E unaltra voce ha commentato «no gadget, no accordo». Tantè che alle 23 han preso a discendere soltanto e univoche voci che assicuravano «hanno rotto, hanno rotto».
Così era andata, infatti. E la storia come sè dipanata al 50° piano è presto riassumibile. Dopo gli abboccamenti separati, alle 20 è iniziata la riunione plenaria. Unora dopo la cena, e alle 23 Juncker ha chiesto un ultimo giro di tavolo, per poi presentarsi con la bozza definitiva per laccordo sul bilancio 2007-2013.
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