Berlusconi: «Il nostro sì non è più scontato»

Fini sulla stessa linea rassicura i suoi: basterebbe una leggina ad hoc. E Schifani conferma: «La approveremmo in un mese». Tentati anche molti centristi. Il Cavaliere esclude difficoltà per i militari nel caso che il decreto di rifinanziamento venga bocciato: «Un problema etico, non pratico»

Berlusconi: «Il nostro sì non è più scontato»

Roma - La tentazione resta tutta. Perché ormai, spiega Berlusconi lasciando il Senato dopo la celebrazione dei cinquant’anni dei Trattati di Roma, «la politica estera» del governo è «in assoluta discontinuità rispetto al passato». Parole, quelle del Cavaliere, che puntano a ribadire la netta presa di distanze da Palazzo Chigi e dalla Farnesina per come è stata gestita la liberazione di Mastrogiacomo. L’ultimo atto, secondo le diplomazie di Stati Uniti e Inghilterra, di una collaborazione che è ormai da mesi «ai minimi termini». E che nelle ultime ore sembra essere sempre più in crisi. Così, il leader di Forza Italia e Fini continuano a non escludere la via dell’astensione quando martedì il Senato voterà il decreto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Perché, spiega Berlusconi, «la situazione è profondamente mutata rispetto a qualche tempo fa». Insomma, «avevamo dato la garanzia per il nostro voto, ma oggi stiamo riflettendo» e «nulla è scontato». Con Bonaiuti che spinge anche più in là: «Forse è il caso di arrivare a dire no».
Così, già da giovedì sera, a Palazzo Grazioli si inizia a lavorare sui possibili scenari che potrebbero aprirsi nel caso in cui Forza Italia, An e Lega (che già si è astenuta alla Camera) decidano di non appoggiare il decreto. Sulla decisione finale, infatti, pesa soprattutto la posizione dell’Udc, che quasi certamente voterà a favore. Con sfumature diverse. E, soprattutto, pallottoliere alla mano. È chiaro, infatti, che se il partito di Casini fosse l’unico nell’opposizione ad appoggiare il decreto, si aprirebbe inevitabilmente la querelle sulla follinizzazione dell’Udc. Che sarebbe determinante a dare all’Unione una maggioranza politica che altrimenti non avrebbe (i tre dissidenti della sinistra radicale, infatti, renderebbero ancora una volta determinanti i senatori a vita, in netto contrasto con la richiesta arrivata dal Quirinale nei giorni della crisi). Non è un caso che Casini vada ripetendo che nel caso la maggioranza non fosse autosufficiente «il governo sarebbe tenuto a dimettersi».
Ma l’ennesimo braccio di ferro tra il leader dell’Udc e gli alleati verte soprattutto sul dopo. Con Casini convinto che «se il decreto decadesse ci sarebbe l’immediato rientro di tutti i militari impegnati in Afghanistan, Kosovo, Bosnia e Libano». Posizione su cui sia Berlusconi che Fini hanno più d’una perplessità. Se il decreto non passasse, ragionava ieri con i suoi il leader di An, il governo si dovrebbe dimettere e a quel punto «non ci sarebbe alcun problema ad approvare una leggina ad hoc che ricalchi il testo del decreto», magari con un articolo in più per coprire i giorni di vacatio legis. Conferma Schifani. «Potrebbe essere approvata in sede deliberante - spiega il capogruppo di Forza Italia al Senato - senza neanche passare per l’Aula». Insomma, tra Camera e Senato ci vorrebbe «meno di un mese». E per il periodo in cui verrebbe a mancare la copertura non ci sarebbe alcun problema visto che a oggi la Difesa non ha ancora attinto ai fondi della Finanziaria 2007. Insomma, se il decreto decadesse non ci sarebbe alcun ritiro immediato. «Il problema - confida Berlusconi a chi lo sente nel tardo pomeriggio - è solo etico, non certo pratico». Nel senso che pur non cambiando nulla dal punto di vista tecnico-militare, è chiaro che il segnale che arriverebbe ai nostri contingenti impegnati in zone di guerra non sarebbe certo incoraggiante. Insomma, due vedute diametralmente opposte. Sulle quali si sta però cercando ancora una mediazione («la riflessione coinvolge anche l’Udc», spiega non a caso il Cavaliere passeggiando in serata per via dei Coronari). Così, Bondi e Cicchitto decidono di lanciare un appello a Casini. Secondo il coordinatore azzurro e il suo vice, infatti, sarebbe «doveroso» condurre «una comune riflessione» all’interno del centrodestra «perché non sarebbe un gesto fedele alle nostre comuni tradizioni atlantiche e non darebbe un sostegno ai nostri soldati», appoggiare, «sia pure per senso di responsabilità», una politica «così lontana dalla nostra».
Al di là della partita interna, l’opposizione continua comunque a polemizzare con governo e maggioranza.

Con Bondi che attacca sia D’Alema («nella catastrofe dell’attuale governo la sua figura si staglia con una tinta di tragicità») che il presidente della Camera Bertinotti (con i suoi interventi sull’Afghanistan e sulle modalità del rilascio di Mastrogiacomo sta «svilendo la democrazia»).

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