Berlusconi: in piazza contro il golpe

Il premier in Kazakistan reagisce alla mozione di sfiducia annunciata alla Camera da Fini, Casini e Rutelli: "E' da irresponsabili minare la stabilità dell’Italia, dialogo impossibile con chi lavora solo per farmi fuori"

Berlusconi: in piazza contro il golpe

nostro inviato ad Astana (Kazakistan)

«Sarebbe un golpe». In pubblico Berlusconi si limita a dire che «è da irresponsabili non mantenere la stabilità in Italia». Ma in privato non ci gira troppo intorno e sull’iniziativa congiunta Fini-Casini-Rutelli è irremovibile: «Cercano una maggioranza alternativa che sostenga un nuovo governo non solo diverso ma anche contro quello deciso dagli italiani? Bene, sappiano che sono pronto ad andare in ogni piazza e gridare al golpe». Seppure a cinquemila chilometri di distanza, insomma, la presa di posizione di Fli, Udc e Api a Roma sembra aver definitivamente spazzato via ogni ipotesi di trattativa ancora sul terreno, con un Cavaliere che da Astana - dove partecipa al vertice Osce - chiude ad ogni possibilità di dialogo con chi «ragiona e lavora solo per farmi fuori». O forse, perché la politica è sempre difficile da decifrare, l’affondo terzopolista non è altro che la diretta conseguenza di un accordo che proprio non si riesce a trovare. Chissà.

Quel che è certo è che - almeno ad oggi - è tutto congelato, temperatura peraltro in linea con il clima della gelida steppa transcaucasica. Già, perché è proprio durante le due ore di visita per il centro della capitale kazaka - il termometro segna -10 - che il Cavaliere viene aggiornato sulle ultime novità in arrivo da Roma. Così, neanche la passeggiata nella maestosa Kazakistan Central Concert Hall - una struttura di vetro blu di 55mila metri quadrati ideata dall’architetto italiano Manfredi Nicoletti - o la visita all’incredibile Khan Shatyr - la «tenda» più grande del mondo alta ben 150 metri e che all’ultimo piano ospita una vera e propria stazione balneare con spiaggia, acqua «importata» direttamente dalle Maldive e persino l’Aquafan - sembra riuscire davvero a rimettere di buon umore il Cavaliere.

La scelta di «formalizzare» nei fatti il Terzo polo viene infatti percepita dal premier come «una forzatura da irresponsabili» proprio in un momento in cui si era deciso di abbassare i toni, tanto da chiudere per una settimana i battenti della Camera in attesa del 14 dicembre. E se è vero - come dice il sempre attento Osvaldo Napoli - che «la situazione è critica» ma in politica «in dieci giorni può succedere di tutto» è comunque sotto gli occhi di tutti che la giornata di ieri segna una decisa accelerazione verso lo scontro frontale.

Perché, filtra dagli uomini più vicini a Berlusconi, le richieste di Fini e Casini erano «inaccettabili». Nell’ordine: rimpasto «corposo» con la testa degli ex colonnelli di An (leggi La Russa e Matteoli) sul piatto e l’alternativa tra un Berlusconi bis con ministri «deberlusconizzati» o un nuovo governo indicato dal Cavaliere ma guidato da altri; garanzia di un ridimensionamento del ruolo della Lega (e dei fondi destinati alle battaglie care al Carroccio); riforma della legge elettorale con sbarramento al 45%, anziché al 55%, per il premio di maggioranza alla Camera. Per dirla come qualche giorno fa l’ha butta lì il premier a un deputato di lunghissimo corso, «mi hanno chiesto il placet per aprire un tavolo e l’ho dato, il suicidio è ben altra cosa...».
Niente dimissioni prima del 14 dicembre, dunque. Perché, dice Verdini, «l’unica alternativa resta o la fiducia o il voto». Con la Lega che si schiera decisamente con il Cavaliere e punta il dito contro «il grave errore politico» di Fini. «Voteremo la fiducia - dicono i capigruppo Reguzzoni e Bricolo - e il 14 dicembre sarà il giorno in cui finiranno congiure e giochi di Palazzo». Anche se oggi, aggiunge sibillino Maroni riferendosi al Terzo polo, «s’è visto plasticamente il quadro di una nuova maggioranza». Avanti verso la conta, dunque.


Con un occhio ai sei deputati radicali, visto che l’incontro di ieri tra La Russa e Pannella è stato per certi versi interlocutorio. Il leader radicale non ha promesso nulla e s’è limitato a parlare di «dialogo» solo in vista del dopo-fiducia (tanto che i due si sono dati appuntamento per il 16 dicembre). Sempre meglio di un «no grazie».

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