Berlusconi: per il sì al referendum daremo battaglia

Stamattina vertice del centrodestra per definire la strategia

Adalberto Signore

da Roma

«È chiaro che la battaglia sul referendum va comunque fatta. Ed è altrettanto chiaro che anche se non mi esponessi in prima persona un’eventuale vittoria del “no” verrebbe addebitata solo e soltanto al sottoscritto». Inizia così la giornata di Sivio Berlusconi, che a metà mattina incontra all’Eur i giovani del Motore azzurro e smentisce categoricamente le ricostruzioni riportate da alcuni giornali che raccontano di un Cavaliere intenzionato a non trasformare la campagna referendaria in una chiamata alle armi pro o contro il governo. Il ragionamento che il leader di Forza Italia affida ai suoi giovani sostenitori viene messo nero su bianco qualche ora più tardi da Paolo Bonaiuti. «Sui quotidiani di oggi - attacca il portavoce del presidente di Forza Italia - abbiamo visto scatenarsi la fiera della menzogna». «È falso», spiega, sia che «Berlusconi abbia cercato di tirare il freno sul referendum» sia che «abbia detto di aver sbagliato su Napoli dove è risultato, con oltre 13mila voti, la persona più votata da quando è stata introdotta la preferenza unica». Bonaiuti, poi, esclude che Forza Italia possa essere «divisa da confronti interni» e ribadisce l’intenzione di fare un’opposizione «rigorosa e senza mezzi termini» perché Berlusconi «resta il baluardo della democrazia e della libertà nei confronti della sinistra». «La conferma di questa linea - conclude - si vedrà nella campagna per il referendum».
Parole, quelle del portavoce dell’ex premier, che non contrastano però con la decisione di seguire una linea di prudenza verso la mobilitazione referendaria. Che sarà corposa e capillare, perché - ripete ai suoi Berlusconi - «gli italiani sono chiamati a esprimersi su una parte importante del nostro programma di governo» e va da sé «che faremo l’impossibile perché vinca il “s씻. Ma che non sarà incentrata sugli eventuali risvolti che potrebbe avere il voto sulla politica nazionale. Insomma, nessun auspicio di mandare «un avviso di sfratto a Prodi» come accaduto prima delle amministrative. Anche perché, fanno notare molti dirigenti di Forza Italia, nel caso di vittoria del «sì» la «spallata al governo sarebbe nelle cose».
Una campagna referendaria, dunque, che la Casa delle libertà imposterà tutta sul merito della riforma. Così, in attesa del vertice dei leader del centrodestra che si terrà questa mattina a Palazzo Grazioli, è Giulio Tremonti a dare la linea. «Se il referendum dice “no” - spiega il vicepresidente della Camera - l’Italia va indietro perché non si cambierà più la Costituzione, se vince il “sì” si fa un passo in avanti». «E se ci sono stati errori - aggiunge - c’è sempre tempo per migliorare, anche tutti insieme».
Ma mentre continuano con insistenza i contatti tra Lega, Forza Italia, An e Udc (certamente il più tiepido tra gli alleati) per organizzare al meglio il lancio del Comitato per il «sì», nella Casa delle libertà c’è da parte di molti una certa cautela, segno che la linea da tenere non è stata ancora formalizzata. Paolo Romani, vicecapogruppo azzurro alla Camera, si limita a dire che «le riforme appartengono a tutti» e che quella federale «rappresenta un passo avanti per il Paese». Dal canto suo, invece, l’udc Carlo Giovanardi lo definisce «l’ultimo atto di un iter parlamentare durato tre anni» e si dice convinto che anche se vincessero i «sì» il governo Prodi «non proclamerebbe certo il suo autoscioglimento». Una linea, quella della campagna non urlata, che alla Lega non sembra dispiacere troppo. Perché - sarebbe il ragionamento di Umberto Bossi - puntando sui contenuti, per esempio la riduzione del numero dei parlamentari, ci sono buone possibilità di fare breccia anche nell’elettorato del centrosinistra. Così, Roberto Calderoli si dice «tranquillo» per l’atteggiamento degli alleati che è «in linea con gli impegni assunti».
Anche la maggioranza non sembra voler alzare i toni.

E si guarda alla vittoria del «no» soprattutto come a un primo passo, spiega il vicepremier Massimo D’Alema, per «aprire un dialogo vero sulle riforme». Glissa, invece, il presidente del Consiglio. Il referendum? «Per ora - risponde Romano Prodi - godiamoci l’ottimo risultato elettorale».

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