Berlusconi: "Sconfitte anche le calunnie Il governo esce più forte dalle elezioni"

Roma È stato un «successo», per il Pdl. Alle europee come alle amministrative, nonostante una campagna elettorale incentrata sulle «calunnie». Silvio Berlusconi ne è convinto, ce l'ha scolpito in volto pure alle undici di sera, quando fa un blitz a Piazza Navona, per «un'ora d'aria dopo la cena a Palazzo Chigi», dov'era a tavola con il presidente del Togo e il premier somalo. Sorride perché è «sereno, altro che preoccupato» quando si ferma ad ogni passo per le foto di rito, le strette di mano, i saluti agli americani («You are welcome», ripete), gli incitamenti ai milanisti: «Kakà? Non preoccupatevi, ne prenderemo altri». È convinto, pure, che con il sostegno di «milioni di donne e di uomini», che «ringrazio di cuore», la stabilità del governo esca «rafforzata».
Così, dopo un paio di giorni d'attesa per commentare in maniera ufficiale l'esito del voto, prima della mezzanotte smentisce «il solito malvezzo di alcuni giornali di attribuirmi virgolettati». Perché io, ribadisce il premier, tra un flash e un altro, nei due giorni trascorsi ad Arcore, in attesa del responso «non ho riferito niente a nessuno». E «non c'è nulla di vero», tra l'altro, se qualcuno scrive che nel Pdl ci sono attriti interni da resa dei conti. Poi, dopo aver salutato un gruppo di Pavia, che lo ringrazia per la vittoria elettorale, torna sulla questione del giorno. Ovvero, sul nodo del referendum elettorale.
E se nella nota mattutina aveva rimarcato come non appaia oggi «opportuno» portare avanti «un sostegno diretto» ai tre quesiti, da sempre fumo negli occhi per la Lega, alleato di ferro con cui c'è intesa piena pure in chiave di ballottaggi, in serata chiarisce il suo punto di vista: «Ne rimango convinto, ma comunque voterò per il sì». E poi, «non cambierebbe nulla».
La passeggiata prosegue lungo Corso Vittorio Emanuele, fino quasi al Lungotevere. E il Cavaliere ne approfitta per dare una sbirciatina alle vetrine, controllare i prezzi («guarda quanto costa quella cintura») e parlare fitto fitto con Valentino Valentini, suo stretto collaboratore e responsabile delle questioni estere. D'altronde, oggi arriva Gheddafi e «abbiamo una fitta agenda internazionale. Obama? Sì, ma non solo». Ultimi saluti e via, si torna a Palazzo Grazioli.
Qualche ora prima, nel pomeriggio, il premier affidava a una seconda nota di giornata la sua analisi post-elezioni. «Desidero ringraziare i milioni di donne e di uomini che sabato e domenica si sono recati ai seggi e hanno confermato nelle urne la loro fiducia nel Popolo della libertà e nella mia persona», attacca Berlusconi, convinto che «non era facile farlo, dopo una campagna elettorale tesa a colpirmi con tante calunnie». Si tratta di un risultato, prosegue il Cavaliere, che «ci rende orgogliosi» e «la stabilità del governo esce rafforzata». Dopo la fiducia che «ci avete rinnovato, il nostro impegno sarà sempre più determinato e appassionato». Ma «per alcuni di voi c'è ancora l'appuntamento per i ballottaggi», che «non dovete mancare». Insomma, tutti alle urne, il 21 e 22 giugno.
Discorso a parte, però, merita il referendum, che delineerebbe, con una eventuale vittoria dei «sì», uno scenario bipartitico da sempre indigesto all'amico Senatùr. E la posizione del premier, sul disimpegno, segue una premessa: «La riforma della legge elettorale deve essere conseguente alle riforme del bicameralismo perfetto da tutti auspicate».
D'altronde, Berlusconi e Umberto Bossi, «in vista dei prossimi ballottaggi - prosegue la nota - hanno condiviso la necessità di un comune e forte impegno a sostegno dei loro candidati». Ma a tenere banco è l'atteggiamento da tenere verso il referendum.


Non si sposta d'un millimetro la posizione di Gianfranco Fini, tra i firmatari, a suo tempo, dei tre quesiti. «Andrò a votare, certamente», assicura il presidente della Camera, nella speranza che seguano il suo esempio anche gli italiani.

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