RomaNon è la prima volta e non sarà l’ultima. Di certo, non era mai successo che Silvio Berlusconi ne parlasse davanti a un nutrito gruppo di giornalisti. Per quanto tecnicamente off the record (nel senso che non si tratta di un’intervista ma di una semplice cena di lavoro) e per quanto rappresentati della stampa estera. Tanto basta, però, a far rimbalzare sulle testate on line di mezzo mondo l’intenzione del Cavaliere di non volersi ricandidare a Palazzo Chigi nel 2013 con tanto d’indicazione del delfino in pectore: l’attuale ministro della Giustizia Angelino Alfano. «Se servirò come “padre nobile” per le elezioni - spiega Berlusconi - lo farò, per esempio facendo il capolista del mio partito. Ma non voglio avere nessun ruolo operativo».
Riflessioni più volte ripetute in privato ad alcuni dei suoi più stretti collaboratori e già finite in più d’una occasione nei retroscena dei giornali. Certo, il salto di qualità sta nel fatto che questa volta il Cavaliere parla davanti alla stampa, per quanto l’occasione sia informale. Ben consapevole che le sue parole sono destinate a finire sui media italiani e stranieri. Ecco perché serve a poco la frenata serale di Paolo Bonaiuti («Sono solo ragionamenti e spesso la stampa li prende come apodittici») che nonostante la consueta buona volontà non riesce a parare l’imparabile. La notizia, infatti, è ormai inevitabilmente finita nel circuito mediatico con i due effetti che, con ogni probabilità, il premier aveva ben previsto. Il primo - lo racconta Denis Verdini - è la valanga di messaggi, fax e mail che durante la giornata invadono via dell’Umiltà con i sostenitori che invitano Berlusconi a «resistere»; il secondo è la prevedibile agitazione dei notabili del Pdl che da anni - seppure sottotraccia e, a seconda delle diverse indoli, con più o meno discrezione - giocano la partita del dopo Cavaliere.
Difficile, dunque, che il premier abbia deciso di uscire allo scoperto per caso. Visto che l’annuncio arriva a un mese dalle elezioni (e al Pdl uno scossone che ravvivi i militanti non fa certo male) e proprio nei giorni in cui le diverse anime del partito si danno battaglia a suon di cene (ieri è toccato alla pattuglia degli scajoliani riuniti all’Hotel Majestic di via Veneto, stasera è la volta di capigruppo, vicecapigruppo e tutti i ministri attovagliati sempre a Roma alla Casina Valadier). Che poi lo scenario descritto dal Cavaliere sia plausibile è altro discorso. Al 2013, infatti, mancano ancora due anni e di qui ad allora di acqua sotto i ponti ne deve ancora passare. Insomma, ogni decisione è possibile. Anche se è plausibile pensare che sarà presa davvero solo tra qualche tempo. E certo Alfano è uno di quelli che più sta nel cuore del Cavaliere, che ne apprezza misura e capacità di mediazione. Quel che è invece molto probabile è che Berlusconi abbia decisamente archiviato l’idea di correre per il Quirinale («ci vedo bene Gianni Letta»). Gli ultimi due anni sotto i riflettori delle procure, i casi Noemi, D’Addario e ora il Rubygate l’avrebbero infatti convinto che se dovesse arrivare al Colle le invasioni e le limitazioni alla sua vita privata non potrebbero che crescere.
E anche di queste vicende parla con i giornalisti stranieri. In Italia - spiega il capo del governo - è in atto «una guerra» ed è quella con la magistratura che è «un cancro», qualcosa di «peggio delle Brigate rosse». Nel giorno in cui Repubblica riporta nuove e piccanti testimonianze sulle sere di Arcore - tanto che chi partecipa al Consiglio dei ministri racconta di un Berlusconi di pessimo umore e piuttosto cupo - la buona notizia per il premier arriva dalla giornata di votazioni a tambur battente a Montecitorio. Dove a sera viene licenziato il processo breve, con la maggioranza che tiene saldamente che nell’unico voto segreto arriva persino ad allargarsi. Voti, auspica il sottosegretario Daniela Santanchè, che presto potrebbero passare stabilmente nella maggioranza. A fine giornata, dunque, Berlusconi è decisamente sollevato.
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