Roma - Il «braccio di ferro con il Quirinale» inizierà presto. Berlusconi ne è così convinto che ai coordinatori di Forza Italia riuniti a Palazzo Grazioli consegna una missione tutt’altro che facile: raccogliere nella mobilitazione del 17 e 18 novembre in tutte le città italiane cinque milioni di firme e scavallare i numeri delle primarie del Pd. Con un duplice obiettivo: «Mandare a casa Prodi se il governo sarà ancora in carica oppure dare un segnale forte per arrivare alle elezioni nel caso in cui l’esecutivo sia già caduto». Ed è soprattutto su questa seconda ipotesi che è concentrato da giorni il Cavaliere, ormai convinto che Prodi cadrà («Oggi abbiamo assestato un primo importante affondo», dice soddisfatto il presidente dei senatori azzurri Schifani) ma piuttosto preoccupato da come il Quirinale gestirà la crisi.
E non è escluso che l’ex premier guardi anche all’Udc, che da qualche giorno sembra aver dato una frenata nella corsa di riavvicinamento alla Cdl. Così, anche se Berlusconi parla di un Casini che «condivide» le sue posizioni, non c’è dubbio che il leader centrista abbia deciso nelle ultime ore di stare almeno a vedere se sulla legge elettorale è possibile trovare un terreno di dialogo con pezzi della maggioranza. «Il modello tedesco - dice in serata a Otto e mezzo - lo voterei con chiunque». Salvo poi aggiungere che «una riforma elettorale senza Berlusconi e Fini è un’ipotesi molto, molto difficile». E lo stesso fa sul governo, perché è vero che «in queste condizioni è meglio staccare la spina», ma se durante le eventuali consultazioni del Quirinale «la legislatura» potesse «essere seriamente difesa», questo sarebbe un «bene». Salvo poi essere «dubbioso sul fatto che in questa legislatura ci possa essere un dopo Prodi». Con un’ulteriore postilla: potrebbe essere necessario «un governo che abbia i tempi tecnici» perché «il 15 gennaio è chiaro che non si può votare» e questo «lo sa anche Berlusconi».
Sul Colle, invece, è netto: «Non credo sia opportuno esercitare pressioni attraverso l’opinione pubblica». D’altra parte, spiega Baccini, «la nostra linea approvata dal congresso è quella della doppia opposizione» e «cambiarla ora come sta facendo qualcuno non mi pare affatto saggio». Se Casini ha deciso di tornare a «schiacciarsi su Berlusconi», ironizza il vicepresidente del Senato davanti all’ingresso dell’Aula, allora «sostituisca Cesa con Giovanardi» e «non se ne parli più». Per Baccini, dunque, l’unica strada - crisi o non crisi - è quella di «rimettere mano alla legge elettorale puntando al modello tedesco». Mentre il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione disegna due scenari: «O continua l’agonia del governo oppure si risolve il nodo della legge elettorale». Insomma, le parole «elezioni anticipate» non sembrano far parte del vocabolario centrista.
Va detto, però, che il sentiero del dialogo con la maggioranza resta piuttosto stretto. Perché sulla necessità di una riforma concordano in molti, ma sulla direzione da prendere sembra esserci ancora una certa confusione. Alfonso Gianni, sottosegretario allo Sviluppo del Prc, ancora ieri alla bouvette di Montecitorio insisteva sul modello tedesco («crisi o non crisi, su questo tiriamo dritto») mentre il ministro della Difesa Arturo Parisi continua a essere nel Pd il capofila dei sostenitori del bipolarismo («serve una riforma non solo che lo mantenga ma che lo rafforzi», ripeteva ieri ai suoi collaboratori).
Da Lega e An, invece, arriva un deciso «sì» alle elezioni anticipate. Con Maroni che arriva a ipotizzarle già «a dicembre».
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