Berlusconi: Udc con noi ma non chieda di più

Adalberto Signore

da Roma

Sembra quasi che la questione non lo riguardi in prima persona, tanto è cortese e affabile nel suo j’accuse. Che - parole e toni a parte - di lì a qualche minuto diventerà implacabile. Soprattutto quando dopo le prime accomodanti battute, Silvio Berlusconi decide di affondare il colpo: «Alle politiche del 2001 hanno preso il 3,2% portando a casa il doppio dei deputati e dei senatori che avrebbero preso da soli. Hanno avuto la presidenza della Camera, pur sempre la terza carica dello Stato, la vicepresidenza a Palazzo Chigi, tanti posti in Rai quanto Forza Italia e pure la poltrona di Commissario Ue, anche se poi Buttiglione ce l’hanno rimandato indietro...». Insomma, Casini e l’Udc «non so cosa possano chiedere di più».
L’occasione per assestare stoccate su stoccate all’alleato recalcitrante è la presentazione de L’Italia spezzata, l’ultimo libro di Bruno Vespa («saluto in lui non solo il cronista ma anche lo storico»). Con Berlusconi che prosegue cauto nella strategia degli ultimi giorni, deciso a non mettere all’angolo Casini per evitare di concedergli qualsivoglia pretesto polemico. Così, nel duello a distanza, si resta al fioretto, senza mai passare né alla spada né alla sciabola. Con molti colpi d’interdizione, se il Cavaliere ci tiene a dirsi convinto che «l’Udc starà con noi anche alle prossime elezioni politiche» perché «non ho mai pensato che possano passare dall’altra parte». E sulle amministrative di primavera nessun problema, perché - dice il leader di Forza Italia - «Cesa mi ha confermato la volontà di andare insieme».
Non mancano, però, gli affondi. A ripetizione. Sulla leadership: «È un problema di chi non ce l’ha, non certo di chi la detiene». Sulla legge elettorale: «Ci è stata imposta da un partito della coalizione e ci è stato detto che se non si fosse fatta non avrebbero appoggiato i candidati della Cdl nei collegi uninominali». Sulla mancata riforma della par condicio: «Mi hanno impedito di farla, una delle ragioni della sconfitta». E pure nel guardare agli scenari futuri, il messaggio che Berlusconi manda a Casini è eloquente: «Bipolarismo e alternanza sono una ricchezza. Sento suggestioni che vengono da una parte e dall’altra, ma indietro non si torna». La legge elettorale, dunque, va «solo perfezionata» perché «occorre evitare un’eccessiva frammentazione» e «non dobbiamo lasciare alle piccole forze politiche diritti di veto». Insomma, nessuna preclusione per il referendum di Segni, perché «sarebbe una bella spinta per superare divisioni e veti». Anche se, aggiunge, è «una questione che stiamo ancora esaminando» perché «preoccupa la Lega». E su possibili margini di manovra al Centro il Cavaliere è categorico: «Oggi i sondaggi danno Forza Italia al 31,7%, siamo noi il centro della politica italiana. Non credo ci sia spazio per un altro partito».
L’ex premier, dunque, continua a puntare sulla logica bipartitica. Ed è in questa chiave che ribadisce l’importanza della Federazione dei partiti di centrodestra, «una prima risposta al popolo di piazza San Giovanni». Sarà caratterizzata, spiega, da «un sistema in cui vige la regola della democrazia», per cui si decide a maggioranza. An, Lega e Dc, aggiunge, sono pronte: «Fini è entusiasta di questa idea. E ne ho parlato anche con Bossi e Rotondi». Inevitabile la battuta su Casini: «Ci sono porte aperte, braccia spalancate e quotidiano ingrassamento del vitello. Di più che posso fare?».
Il Cavaliere torna sulla «spallata», ipotesi in cui «non ho mai creduto». «L’implosione della maggioranza - avverte - arriverà quando si metteranno a discutere di temi come le pensioni o i Pacs». D’altra parte, già oggi i sondaggi dicono che «il 73% degli italiani vuole un governo diverso dall’attuale». E nel calore della gente che lo ferma per strada («a Roma come a Milano»), Berlusconi coglie i segni della crisi del centrosinistra. Che trovano conferma nei fischi a Prodi. Il Cavaliere, però, non li condivide: «Sono sincero, mi spiacciono perché Prodi rappresenta le istituzioni, il governo di tutti gli italiani». Salvo aggiungere: «Sento in giro che il leader dell’opposizione gode di attenzioni che definirei amorose, mentre il leader del governo soffre del contrario». Poi due digressioni: sul ddl Gentiloni («non penso che in Parlamento vi siano così pochi gentiluomini da votarlo») e sul caso Welby («non mi esprimo, provo profonda pena»).
Prima di chiudere, si torna sulla questione leadership. E il messaggio a Casini si fa sempre più chiaro. «Per me - spiega - è un sacrificio, ma non posso sottrarmi alle responsabilità.

Il 76% di chi vota per la Cdl vede in Silvio Berlusconi il candidato per il prossimo governo. Detto questo, la leadership non è di nessuno, la decide la gente». Anche se, aggiunge, almeno fino a quando «non ci sarà qualcun altro capace di tenere insieme Lega, An e Udc» resto «indispensabile».

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