La via di Berlusconi verso un governo vero

Caro Granzotto, niente da dire sullo straordinario colpo di Silvio Berlusconi, sul fatto che abbia spiazzato i suoi avversari interni ed esterni e come si dice giocando a scopone sparigliato le carte in tavola. Ma non riesco a vedere come la formazione di un nuovo partito, l’ennesimo, diciamo la verità, possa al di là del contingente essere definita, come si è detto con esagerazione, una rivoluzione. Cambiano le sigle ma il personale politico è in linea di massima sempre quello e non vedo quindi dove possa essere il cambiamento annunciato. Forse me lo può indicare lei che di politica ne sa sicuramente di più.


Mi spiace deluderla, ma di politica ne mastico poco. Però, se lei mi riduce la svolta berlusconiana alla pura e semplice fondazione di un nuovo partito, me lo lasci dire: sta messo peggio di me. Ma dove vive, caro Medici? Nemmeno il più sordo o tetragono degli avversari sottovaluta la portata - e gli effetti sulla scena politica - della fulminea mossa del Cavaliere. Senza dire delle altre considerazioni interessanti e per molti aspetti rivoluzionarie sull’uno-due assestato da Berlusconi al regime vigente. La prima è che sbugiarda un nefando luogo comune, quello che vuole la politica come arte del compromesso. Ovvero del trattare, del concertare, del primato dialogo, del confronto e naturalmente, per riprendere l’editoriale di Paolo Guzzanti, dell’inciucio e dell’inciucismo. Modo di intenderla, la politica, che ha ridotto l’Italia a dover subire, li conti pure, caro Medici, cinquanta governi in cinquant’anni. Una follia. Una follia che alla fine ha generato quel rigetto che chiamiamo antipolitica. Reazione alle caste, alle arroganze, agli sprechi, certo: ma prima di tutto ad una pratica di governo inane, svirilizzata, resa impotente dalla priorità di tenere in qualche modo assemblata la coalizione di turno. Da questo punto di vista l’iniziativa di Berlusconi è chiara: niente più bilancini del farmacista, manuali Cencelli ad uso interno, diritti di tribuna e politica parolaia. Ovvero niente più compromessi: il nuovo partito si presenta con un programma e degli obiettivi. Quelli sono, prendere o lasciare.
L’altro aspetto interessante (rivoluzionario) del new deal berlusconiano è che interpreta un comune e politicamente trasversale sentimento della pubblica opinione: l’esigenza di un potere forte, unico rimedio ai danni provocati in oltre mezzo secolo da poteri anemici. Sdoganate - rese quindi politicamente corrette - dalla sinistra, le primarie sono un tonico, per il potere. Che non traendo la sua legittimazione dai riti, usi e costumi della democrazia parlamentare o da quelli dei partiti tradizionali, è esentato dal fare i conti con la nomenklatura o con le prime donne della società civile, ciò che ha sempre costituito la forza del potere forte.

Se a tutto questo si aggiunge la guida di un partito-movimento dichiaratamente indisponibile ad impancarsi con altri soggetti e dunque poco incline alla ricerca del compromesso, la via per un governo forte, che decide e fa, può dirsi aperta. E la chiama cosa da poco, caro Medici?

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