Un «discorso da capo dell’opposizione », la demolizione sistematica del governo e della «mia persona». Silvio Berlusconi segue l’intervento di Gianfranco Fini sull’enorme schermo al plasma che campeggia nel salotto di Arcore in compagnia di Angelino Alfano. E prende pure qualche appunto, almeno fin quando non si rende conto che dovrebbe andare avanti a scrivere ininterrottamente per un’ora e mezza.Da Mirabello, infatti, gli affondi iniziano con l’accusa al premier di«stalinismo »e finiscono con la demolizione pezzo per pezzo dell’attività di governo. Ufficialmente il Cavaliere tace, perché serve tempo per riordinare le idee e decidere come rispondere a un discorso che più duro non poteva essere. Al punto che Paolo Bonaiuti si mette avanti con il lavoro e smentisce le «eventuali ricostruzioni » che saranno pubblicate oggi dai giornali. Ad Arcore, però, il centralino resta rovente fino a tarda sera, con il premier che non nasconde «amarezza » e «fastidio» a diversi interlocutori. Parla con ministri e sottosegretari e più volte punta il dito contro il «traditore». Perché al di là delle rassicurazioni sulla lealtà all’esecutivo il messaggio di Fini è devastante. L’ex leader di An, infatti, smonta tout court l’azione del governo. Attacca sulla scuola, sulla cultura, sull’economia, sulla giustizia, sul sociale e pure sulla politica estera. Come fa, è il senso del ragionamento del Cavaliere, a dire che sostiene l’esecutivo dopo che ne ha contestato l’azione su tutti i fronti? E qui sta il punto. Perché è chiaro che il discorso di Mirabello sancisce la fine di una fase politica e avvicina inesorabilmente le elezioni anticipate. D’altra parte, che un equilibrio tanto instabile possa durare a lungo è pressoché impossibile e questo Berlusconi lo sa bene. Fini, ragiona il premier, vuole solo restituire a noi il cerino, dice che è stato lui ad essere cacciato dal Pdl e giura una fedeltà che non c’è nei fatti perché parla da capopopolo e da irresponsabile, non certo da presidente della Camera. «Da parte mia assicura il Cavaliere in una delle tante telefonate - io non ho nulla da rimproverarmi perché questo stillicidio va avanti da due anni e non due giorni. Oggi finalmente ha fatto chiarezza». E ancora: se ne è andato dal partito perché vuole rifare An, vuole il suo piccolo pollaio, ma gli elettori sono dalla mia parte. Insomma, secondo Berlusconi l’intervento di Fini è a dir poco risolutivo. Certo, si andrà in Parlamento a votare i cinque punti programmatici ma è chiaro che è solo questione di tempo per arrivare allo show down . Perché, ragiona il premier durante un giro di telefonate con Bossi e i colonnelli del Carroccio, anche quel riferimento al fatto che il finiano Mario Baldassarri è l’ago della bilancia nella Commissione bicamerale per l’Attuazione del federalismo altro non è che una minaccia. Che a vedere le reazioni serali del Senatur e di Roberto Maroni anche il Carroccio mostra chiaramente di non gradire. Eppoi c’è il passaggio sulla riforma della legge elettorale, anche questo- riflette nelle sue conversazioni il premier - decisivo. Già, perché ad Arcore la convinzione è che l’ex leader di An abbia sostanzialmente teso la mano a chi da mesi vagheggia l’ipotesi di un governo tecnico il cui core business , non a caso, dovrebbe essere proprio la riforma della legge elettorale. Urne più vicine, dunque.
Tanto che a Villa San Martino oggi dovrebbe esserci un summit con i vertici della Lega per studiare le prossime mosse. Tra cui non è esclusa una mozione contro il presidente della Camera ormai considerato «incompatibile ». Se avesse un minimo di dignità- ripete ai suoi il premier - si dimetterebbe, ma la dignità non ce l’ha.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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