Bernabè scrive ai dipendenti: «Reggeremo alla tempesta»

«Redditività di lungo periodo rafforzata. L’interesse per noi vuol dire che siamo stimati»

Bernabè scrive ai dipendenti: «Reggeremo alla tempesta»

nostro inviato a Tokio

Con un’altra caduta dei suoi titoli, che ieri hanno perso il 2,4% a 0,93 euro, anche Telecom affonda sotto i colpi di questa crisi. Se l’era cavata, fino alla scorsa settimana. Ma ora, dopo le banche e la Fiat, la vulnerabilità del gruppo guidato da Franco Bernabè si rivela in tutta la sua crudezza. I prezzi di ieri corrispondono a quelli della preistoria finanziaria di una dozzina d’anni fa, quando il telefono era solo fisso e serviva unicamente a parlare. Si pensi che quando, l’anno scorso, Pirelli vendette il pacchetto di controllo alla cordata messa insieme da Mediobanca e Intesa (con i Benetton), insieme con Telefonica, dovette accontentarsi di 2,8 euro per azione contro i 4,2 pagati nel 2001. Un terzo di perdita e sembrava la fine del mondo. Da allora, in un solo anno, il titolo ha bruciato ben di più: altri due terzi del suo valore. Senza che le condizioni di fragilità di fondo di Telecom - vale a dire un debito di 37 miliardi, i margini di profitto in erosione a causa della concorrenza e le strategie delle tlc del futuro tutte ancora da disegnare – siano per nulla cambiate. Per Mediobanca e Intesa Sanpaolo, banche che già hanno i loro bei problemi in Borsa, si tratta di una implicita perdita da quasi 3 miliardi. Per Telefonica sono 2,5. Il lancio di un’offerta ostile a questi prezzi, diventa un rischio più concreto. I soci avevano puntato a un’iniezione di nuovo capitale amico. Si parlava, a ridosso del cda del 25 settembre, di una trattativa con il fondo sovrano libico che, secondo i rumors, puntava a comprare a 1,3-1,4 euro per azione, mentre 1,6-1,7 era la valutazione di Roma. I libici non hanno ancora presentato un’offerta e nel frattempo sarebbe tornato l’interesse anche dei russi di Sistema. Va da sé, però, che con il titolo a 0,8-0,9 tutto diventa più difficile. E ieri se n’è avuta la conferma. Il direttore finanziario, Marco Patuano, in missione per conto del gruppo a Tokio con la Borsa italiana per sondare il terreno dei capitali nipponici, ha ammesso che il nuovo quadro peggiora la situazione: «È chiaro – dice Patuano – che a questi prezzi non si può immaginare di fare un aumento di capitale. Ed è difficile pensare che arrivino presto offerte concrete. Ma non abbiamo necessità di correre dietro a nessuno. Se poi qualcuno al tempo giusto vorrà entrare alle giuste condizioni, vedremo». Patuano non ne fa un dramma e argomenta: «Abbiamo due anni per guardare avanti con tranquillità. Perché l’importante è non trovarsi nel primo semestre del 2009 tra coloro che dovranno rifinanziare il proprio debito. E noi non ci siamo». Il riferimento è alle tensioni sui tassi d’interesse presenti e future, visto la situazione dei mercati. E da direttore finanziario sa quello che dice, avendo a mente una posizione finanziaria netta negativa per 37 miliardi, ma senza scadenze ravvicinate. E con 5 miliardi in cassa.
Ieri, intanto, Bernabè ha inviato una lettera ai dipendenti per rassicurarli: «Reggeremo alla tempesta. Le testimonianze di interesse arrivate in questi ultimi tempi confermano la stima e l’attenzione di cui Telecom gode anche a livello internazionale.

Gli obiettivi di tipo industriale devono rimanere al centro della nostra attenzione e la situazione del nostro debito non ci preoccupa». Bernabè ha inoltre confermato «il rafforzamento della posizione di mercato e la redditività di lungo periodo».

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