Bernardo, rivoluzione in cucina

nostro inviato a Parigi
Al 13 di boulevard de la Tour Maubourg l’ultima mia grande emozione parigina. Merito di un trentenne italiano che a dicembre spegnerà 32 candeline nel vino non appena maggiorenne. Enrico Bernardo ha radici in Basilicata, natali milanesi e pure studi alberghieri milanesi grazie all’istituto Carlo Porta. Diciottenne avrebbe lasciato casa «perché volevo, come tanti, farmi qualche esperienza all’estero, giusto un paio di anni e in pratica non sono mai più tornato».
Tra cucina e cantina ha scelto la seconda, anche se ora è titolare di un ristorante dopo aver lavorato in alcuni indirizzi di assoluto prestigio tra Svezia, il Grand Hôtel a Stoccolma, e Francia, Les Frères Troisgros a Roanne piuttosto che il Four Seasons George V a Parigi dove ha realizzato una cantina da sessantamila bottiglie. In questo essere sommelier-patron partendo da zero, senza cioè una famiglia di osti alle spalle, ricorda Giorgio Pinchiorri, un emiliano trapiantato a Firenze che scoprì il vino più tardi, da astemio pentito.
Il ristorante di Enrico ha un’insegna che non lascia dubbi sulla vocazione del suo artefice: il Vino d’Enrico Bernardo. Non il vino in genere ma proprio quello amato dal titolare. Senza che in pratica vi sia una autentica cantina. È che Bernardo ha capovolto il mondo, che non è più quello del cibo e del vino. Adesso lì abbiamo il vino e poi il cibo. Invertendo i fattori, il prodotto finale non cambia perché bevi e mangi come puoi fare ovunque nel mondo, ma in verità non è proprio così. Ed è una rivoluzione perché non scegli cosa bere in funzione delle pietanze ordinate, bensì ordini cosa bere e la cucina decide cosa gusterai senza che tu lo possa sapere fino al momento del servizio. In carta, piccola, agile e quadrata, 25 cm per 25, soltanto vini, impaginati e presentati però come fosse piatti.
Ecco tre menù degustazione che a pranzo (posto aperto mattina e sera sette giorni su sette, il debutto lo scorso 24 settembre) sono chiamati En vitesse (in velocità), due vini e caffè con dessert a 50 euro; A l’aveugle (alla cieca perché non sai cosa berrai e nemmeno distingui il colore visto che i bicchieri sono neri), 4 vini tutti da scoprire a 75 (antipasto, piatto forte, formaggio e dolce), e un percorso più marcato a 135 che a inizio giugno era nel segno, dichiarato, di asparagi e spugnole (5 vini) e ora è una Dégustation autour de la Cuisine italiaenne con però solo due vini italiani.
La sera sparisce il Vitesse, quello alla cieca sale di importanza e viene a costare 95 euro, il viaggio in Italia rimane a 135 ma non è il più caro, anche se immagino sia il più richiesto. La Dégustation Grands Terroirs de France, un pokerissimo di bottiglie davanti alle quali bisogna inchinarsi, viene 1000 (mille) euro. Nel divario tra 135 euro e mille c’è tutta la distanza che noi patiamo nei confronti dei nostri cugini.
E poi la carta: 14 vini, cinque che accompagneranno altrettanti antipasti, cinque per i piatti principali, uno per il formaggio e tre per i dessert. Accanto a ogni opzione il prezzo, dai 46 euro del Langhe Favorita di Pelissero 2007 ai 52 di un Pinot Noir neo-zelandese fino ai 20 di un rosé provenzale ideale per i formaggi affinati da Madame Quatrehomme nella sua bottega. E se uno desidera un secondo bicchiere lo paga a parte così come un astemio può ordinare da mangiare tutto a 35 euro che diventano 14 per formaggi e dessert. Ha detto Enrico: «Sono più le persone che hanno scelto il menù a mille euro di chi ha scantonato il vino».
Si rovescia il noto e si fa diventare il sommelier protagonista assoluto. Squadra giovane lì a Parigi, con un secondo locale a Courchevel in Savoia, aperto dal 1° dicembre al 30 aprile «con una cucina di selvaggina, gnocchi e polenta, piatti salsati e quasi niente pesce». Già, i piatti: i primissimi giorni i clienti si aspettavano un wine-bar «vino e salumi, piatti freddi insomma. Invece vedevano arrivare triglie e branzini, vitello e costate e rimanevano contenti perché capivano che comunque il mio è un ristorante dove si mangia».


Tre i principali collaboratori, Davide Barilone, Matteo Ghiringhelli e Federico Colombo, e per Enrico, sommelier campione del mondo a 27 anni, record, un lungo pensiero a monte della scelta fatta e che strega: «Quasi nessuno nei grandi locali consulta la carta del vino, è intimorito dalla mole e lascia fare al sommelier, al massimo chiede una bottiglia che vada bene un po’ per tutto e tu che hai studiato per una vita ti ritrovi relegato in un ruolo secondario. Da noi invece il cliente è incuriosito: poche proposte, una trentina, che puoi facilmente seguire e una cucina rassicurante, che non ti distrae da quello che ti sarà versato nel bicchiere». Magico.

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