Qual è, esattamente, il lavoro di Pier Luigi Bersani? È il segretario del Pd o è il segretario di Susanna Camusso? Fa politica in proprio, o è diventato la cinghia di trasmissione del sindacato? L’interrogativo è legittimo - e qualcuno comincia a porselo anche a Largo del Nazareno - soprattutto dopo lo scontro, repentino e violento, sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
È bastato che la Camusso alzasse i toni contro il governo e il ministro Fornero, accusandola addirittura di «aggressione nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici», per chiudere ogni spiraglio nel Pd.
«Toccare l’articolo 18 - si è affrettato a dire Bersani - è roba da matti». E il governo «lo capirà, lo dovrà capire, altrimenti...». Il governo l’ha capito, e la Fornero ha fatto marcia indietro: ma soltanto per prendere meglio la rincorsa, a quanto pare, perché la riforma del mercato del lavoro, insieme alle liberalizzazioni, costituirà il cuore della «fase due». E Bersani sarà chiamato a prendere una decisione.
La Cgil, con i suoi 5 milioni e 750.000 iscritti, è la più potente corporazione del Paese: la sua ragione sociale è la difesa dei privilegi acquisiti negli anni dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, che costituiscono la stragrande maggioranza dei tesserati. Il resto del mondo del lavoro, che è oggi maggioritario e che non gode delle garanzie consolidate del Welfare assistenziale all’italiana, alla Cgil non interessa: a parole la Camusso sostiene la necessità di estendere «a tutti» i diritti acquisiti, ma di certo non è tanto ingenua da crederlo possibile, tanto più quando la crisi del debito pubblico rischia di travolgere l’Italia intera.
È di fronte a questo macigno di conservazione che la sinistra italiana, negli ultimi diciassette anni, ha infranto ogni volta i suoi sogni riformisti. È capitato a D’Alema nel ’98, a Prodi nel 2006, a Veltroni nella sua breve stagione di segretario del Pd: ogni volta che qualcuno a sinistra ha tentato di riequilibrare il potere del sindacato promuovendo una politica di equità, di apertura, di flessibilità, la Cgil ha dichiarato guerra. E ha vinto: Cofferati contro D’Alema, Epifani contro Prodi e Veltroni, e ora Camusso contro Bersani.
Il fatto è che Bersani sembra caduto senza combattere, e questo ai riformisti del Pd non piace affatto. Il partito che hanno in mente i Letta, i Chiamparino, i Veltroni, i Renzi si propone di rappresentare tutto il mondo del lavoro, nella sua complessità e nella sua modernità, e non soltanto la sua parte più protetta e garantita, e sa che lo scontro con la Cgil prima o poi andrà combattuto a viso aperto.
Per capire quanto grave sia la situazione in casa democratica, è utile rileggere l’editoriale che Stefano Menichini, il direttore di Europa, ha scritto martedì scorso. A sinistra, denuncia Menichini, c’è chi vuole far cadere il governo e andare dritto alle elezioni per impedire le riforme: «È la linea di Susanna Camusso, espressa in modo aggressivo in una drammatica intervista contro Elsa Fornero. È la linea di una parte di mondo sindacale, e di almeno alcuni dei dirigenti democratici che vi fanno riferimento più o meno diretto. È la linea dell’Unità, che prima non credeva al governo di transizione e anzi lo avversava, poi lo ha accettato malvolentieri, oggi passa all’opposizione. Al governo non ci si limita a contestare l’intenzione di intervenire sul mercato del lavoro: al governo si contesta la legittimità a governare».
Se le cose stanno davvero così, è difficile che Bersani riesca a tener testa alla Cgil. Che oramai si comporta come un partito assai più che come un semplice sindacato, e pretende di dare la linea a tutta la sinistra. Ieri la Camusso è tornata ad attaccare la manovra (mentre il Pd in Senato la votava), ha decretato «archiviata» la questione dell’articolo 18, ha chiesto a gran voce la patrimoniale e ha preannunciato per il 2012 «un’importante stagione contrattuale». Sembra la piattaforma di un partito di opposizione. Per Di Pietro e Vendola accodarsi alla Cgil è una benedizione, ma per il Pd può essere esiziale.
Finora Bersani s’è barcamenato come meglio ha potuto, salvo riallinearsi al sindacato ogni volta che la Camusso ha suonato il fischietto. Ma non è detto che tutto il Pd accetti pacificamente di diventare l’agit-prop della Cgil.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.