Bersani canta vittoria e avverte Monti: ci ascolti o si va al voto

Roma«A questo punto è tutto appeso a un filo: vita del governo, riforma della legge elettorale, durata della legislatura. Bisogna vedere se Bersani resiste alla tentazione».
A spoglio ancora in corso, la constatazione dell’alto dirigente Pd contrasta con le dichiarazioni ufficiali del segretario, Pier Luigi Bersani. Che a sera convoca una conferenza stampa per mandare in pratica un unico messaggio: l’unico partito rimasto in piedi, dopo il voto amministrativo, siamo noi. Ed è bene che anche Monti se lo metta in testa, e si comporti di conseguenza: «Confermo il nostro leale sostegno al governo, ma spero che ci ascolti un po’ di più». Se lo avesse fatto prima, sottolinea, «dall’Imu al Salva-Italia agli esodati, il disagio nel paese sarebbe minore». In ogni caso, insiste Bersani, «non è vero che tutti i grandi partiti che sostengono Monti hanno perso. In una situazione molto difficile emerge un nettissimo rafforzamento del Pd e del centrosinistra in tante città».
Certo, il «rafforzamento» risulta nettissimo se lo si confronta al disastro altrui. Una «vittoria a metà» per il centrosinistra, come la ridimensiona Nichi Vendola. «Se si guardano le percentuali del Pd in ex roccaforti come Genova o Parma non c’è da stare allegri. Lasciando stare disastri come Palermo», nota l’ex capogruppo di Rifondazione Gennaro Migliore, oggi con Sel. Quanto ai candidati, in molte realtà significative non sono quelli indicati dal Pd a vincere o andare al ballottaggio.
Ma il messaggio mandato da Bersani vuole essere rassicurante: il Pd non staccherà la spina all’esecutivo, per capitalizzare il crollo del centrodestra, inseguire l’onda della vittoria di Hollande e incassare subito i numeri che, sulla carta, potrebbero portare una coalizione di sinistra al governo. Ma il governo deve riconoscere il suo ruolo di unica forza propulsiva della sua maggioranza, e dunque spostare la propria linea a sinistra. Lo dice fuori dai denti il parlamentare torinese Stefano Esposito: «Il Pd è l’unico rimasto in piedi, ed è ora che Monti e la signora Fornero capiscano che sono un governo tecnico con una maggioranza politica». Ad esempio, «il decreto sugli esodati, se arriva in Parlamento così, se lo votano loro». Ciò detto, Esposito assicura che il Pd non abdica alla sua linea «responsabile», ed è pronto a sostenere Monti fino al 2013. «A meno che - aggiunge - non decida lui di andarsene da solo, come da solo è arrivato».
L’ipotesi, quella di un volontario addio del premier, sembra stravagante, eppure ieri faceva capolino nei ragionamenti di più di un esponente del centrosinistra. Lo dice chiaro, ad esempio, l’ex dirigente dei Verdi Paolo Cento, oggi con Vendola: «Non ci sarà bisogno che il Pd o gli ex An del Pdl stacchino la spina: vedrete che sarà Monti a decidere di andarsene prima», prevede, «anche perché ormai gli è chiaro che nel prossimo anno potrebbe solo vivacchiare senza portare a casa niente e bruciandosi le chance future: tanto vale andare al voto in autunno, come in Germania, e tenersi di riserva per il dopo». Quanto al presidente Napolitano, Cento fa notare che «se si va al voto anticipato sarà ancora lui, dal Quirinale, a dare le carte. Nel 2013 no».
Nel Pd, l’ala sinistra dei dalemiani che sostengono Bersani celebra Hollande, l’alleanza di sinistra e picchia contro quello che l’Unità definisce «il commissariamento tecnocratico». D’Alema benedice la foto di Vasto, «ormai realtà in gran parte del Paese». Mentre i dirigenti filo-Monti si mostrano allarmati: «Se i sondaggi sul governo scendono sotto il 40% la tentazione di far saltare il banco prevarrà».

E Sel incalza: «È chiaro che a questo punto il Pd deve decidere: se resta un altro anno a sostenere il governo si logora con lui e fa decollare Grillo. Noi continueremo a pressarlo perché tolga l’appoggio a Monti», dice Migliore.

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