Ha talmente rotto che si è fatto tirare le orecchie dal capo dello Stato. Strano destino quello del segretario Pd, Pier Luigi Bersani. Proclama ogni giorno la sua deferenza per gli alti valori democratici: la Costituzione guai a chi la tocca, Parlamento o morte, chi attenta alle istituzioni peste lo colga. Però passa più tempo ad arringare le piazze che a fare il suo lavoro in Aula da parlamentare perbene e rispettoso delle forme. E tre giorni fa, il 30 marzo, l’ha fatta talmente grossa davanti alla Camera, che si è scocciato anche Napolitano.
Sono mesi che Pierlù si è improvvisato Masaniello.
Alla vigilia dei 60, che compirà in settembre, ha lasciato le scartoffie per guidare cortei, arrampicarsi sui tetti, aizzare folle. Non è una dieta per tenersi giovane, ma una reazione ai travasi di bile che gli causa Berlusconi. Non riuscendo toglierlo di mezzo con la dialettica, spera nel furore popolare e si ingegna a suscitarlo. Il perché non ce la faccia con le buone, è presto detto: Pierlù non ha un’idea che sia una, né uno straccio di programma da contrapporre a quello del governo. Roso com’è dal livore non riesce a pensare, né sanno farlo quelli che gli sono attorno. È la tragedia dell’opposizione, stretta tra la morta gora del Pd, l’idrofobia di Di Pietro, le banalità di Casini, il vuoto di Fini. Non le resta che l’antiberlusconismo che però è venuto a noia anche a molti di loro.
E qui si capisce perché Bersani si comporti più da palestrato che da essere pensante: è l’angoscia di un rapido benservito che lo accascia. Due mesi al massimo, se vanno male le Amministrative. Lo aspettano al varco: il vice, Enrico Letta; il nemico, Veltroni; l’amico che fu,D’Alema;l’imberbe cannibale di Firenze, Renzi, che vuole rottamarlo. Tre giorni fa Walter ha detto: «Se Berlusconi sta ancora lì, la colpa è anche del centrosinistra che non è riuscito a costruire un’alternativa che vada oltre l’antiberlusconismo». Come dire: smamma Bersani, non hai la testa per guidare il Pd. Pierlù è in corsa contro il tempo.
O nelle prossime settimane riesce a scatenare la piazza in modo tanto violento da costringere Napolitano a mandare a casa il Cav e indire nuove elezioni, o i cari compagni se lo pappano in un boccone. Ancora l’anno scorso in estate, Pierlù pensava di defenestrare il Cav con la brutta politica.
Esultò quando Gianfry si mise di traverso: «Per difendere la Costituzione potrei allearmi con Fini». I due cominciarono così a duettare. «Gli immigrati sono italiani », disse Pierlù. «I figli degli immigrati sono gli italiani di domani», gli fece eco Gianfry. Durante la vicenda della casa di Montecarlo, Bersani fece il finto tonto come se fosse di fronte a una bagatella e difese il suo cocco contro «la macchina del fango». Quando Fini iniziò a utilizzare lo scranno della Camera per dare addosso ai suoi ex alleati, l’istituzionalissimo Bersani, anziché indignarsi, gli dette corda. Fini però crollò, il Cav si riprese e Pierlù, scorato, ha cominciato a giocare la carta del piazzaiolo.
Ricorderete le rutilanti proteste dei ricercatori contro il decreto Gelmini dell’autunno 2010. Per sostenere le teste d’uovo asserragliate sul tetto della facoltà romana di Architettura, sbucò improvvisamente dal cornicione la testa lucida di Pierlù.
Stava su una scala come un cocorito sul trespolo. Aveva il sigaro in bocca e il fiato grosso. Alle telecamere convocate dal Pd affidò questo criptico detto: «Se tocca a me, questa legge la cambio ». Il meschino, infatti, si illudeva che le elezioni fossero alle porte e che le avrebbe vinte lui. La scalata avrebbe dovuto renderlo simpatico e conquistargli dei suffragi. Si beccò invece le rampogne dei salutisti per il pessimo esempio dato ai giovani col sigaro tra i denti.L’iniziativa-che voleva essere un rilancio spavaldo e unico della sua leadership - fu messa in ombra dal fatto che tanti fecero lo stesso. Scalarono infatti il terrazzo vari papaveri dell’opposizione: il noto pm, il leggiadro Vendola e una schiera di finiani, capeggiati dall’atletica Flavia Perina, già giornalista rautiana, oggi pendolante tra Unità e il Fatto .
Per riprendersi dalla vertigine delle alture, ma ormai deciso a istigare le folle, Pierlù si è poi dato a manifestazioni pianeggianti.
Quella del dicembre 2010 in difesa, mi pare, della Costituzione. Frase chiave: «Berlusconi ci fa un baffo ».
L’altra del 12 marzo di quest’anno per un’Italia diversa. Frase forte: «Berlusconi si avvinghia su se stesso, ma noi abbiamo più grinta e tenuta di lui». La terza, non so a che dedicata, è prevista per l’8 aprile. Dove però il Bersi ha superato se stesso, facendo incacchiare Napolitano, è tre giorni fa davanti a Montecitorio. Si erano radunati i meditativi del popolo viola contrari alla prescrizione breve in discussione in Aula. Alternavano l’urlo, «Vergogna, mafiosi», a Bella ciao. Fiutando aria di famiglia, Pierlù ha pensato bene di unirsi agli indignati. Si è fatto portare una scala di quelle che si usano per il cambio di stagione, è salito in posizione inverno e ha detto: «Berlusconi è andato a Lampedusa a comprare ville e barche mentre la maggioranza ha votato una legge per non mandare a giudizio e ladri e violentatori ».
Quella folla di spiriti aperti si è spellata le mani per l’accenno spregiativo al riccastro. Ma il collegamento tra sbarchi di Lampedusa e i «ladri e violentatori » che la legge sulla prescrizione breve lascerà impuniti, sembra più una invettiva da partita iva leghista che da capo Pd. Se pure è un lapsus, la dice lunga su razzismo inconscio di Pierlù e dei viola che lo hanno beotamente applaudito.
Comunque,l’arringa di Bersi ha sovraeccitato gli animi già accesi.
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