Bersani diventa giustiziere per un pugno di voti

Con le regionali alle porte, il segretario Pd getta la maschera di finto garantista e sul caso Bertolaso cerca di scavalcare l’Italia dei valori: "Si dimetta subito". Franceschini attacca il decreto sulla Protezione civile Spa: "Irresponsabile insistere"

Bersani diventa giustiziere per un pugno di voti

Roma Quando Pierluigi Bersani, ieri, ha rotto gli indugi e aperto in grande stile l’offensiva sul caso Bertolaso, chiedendone le dimissioni, anche molti esponenti del suo partito sono rimasti sorpresi dall’improvvisa accelerazione impressa dal segretario.
Guido Bertolaso, dice Bersani, «ha l’obbligo, per fare chiarezza, di presentare le dimissioni. Se non lo capisce da solo e non lo farà, allora il Partito democratico chiederà nelle sedi istituzionali le dimissioni forzate». Secondo il leader del Pd, «si è creata una situazione che non consente un buon governo del sistema della Protezione civile in condizioni di serenità e di tranquillità». Svolta dura, dunque, per il principale partito di opposizione.
Finora, il Pd si era mosso con «cauto garantismo» sulla vicenda, secondo la definizione del responsabile Giustizia Andrea Orlando: forti critiche politiche sul decreto in discussione e sull’eccessiva discrezionalità concessa al sistema della Protezione civile, ma nessun attacco diretto al sottosegretario indagato. Anche quando Antonio Di Pietro si è buttato a corpo morto sulle tesi accusatorie e ha fatto presentare ai suoi una mozione di sfiducia a Guido Bertolaso, il Pd è rimasto a braccia conserte, in attesa di sviluppi più chiari dell’inchiesta. Ieri invece il segretario ha strappato all’Idv il ruolo di alfiere della linea dura e puntato l’indice contro il sottosegretario. «Noi non chiediamo automaticamente le dimissioni di chiunque venga toccato da un’inchiesta», spiegano i suoi, «ma la Protezione civile è un caso unico, ha poteri eccezionali su tutto, e ci chiediamo come possa Bertolaso resistere davanti a quel che sta emergendo». Il problema, insistono nel Pd, non sono certo i massaggi più o meno sexy o la compagnia di signorine avvenenti: «Ci sono cose molto più serie da chiarire», e Bertolaso non può cavarsela dimostrando che la «massaggiatrice» era effettivamente una fisioterapista, e non una geisha.
Altro che Noemi o Patrizia: nel principale partito di opposizione sono convinti che la bufera giudiziaria sulla Protezione civile, in piena campagna elettorale, possa essere una vera buccia di banana per il premier. D’altronde Bertolaso è stato l’uomo chiave dei successi d’immagine del governo: dai rifiuti di Napoli al dopo terremoto abruzzese al G8 tra le macerie. E dunque lo scandalo va cavalcato con decisione.
Davanti alla richiesta di dimissioni di Bersani, il Pdl insorge in difesa di Bertolaso, e gli fa quadrato attorno. Cauto anche Pier Ferdinando Casini: «La storia non è edificante, ma se siamo gente seria prima di decapitare le persone che hanno servito il Paese dobbiamo pensarci non una, ma dieci volte», dice il leader Udc, frenando sulle dimissioni. Il capogruppo del Pd Dario Franceschini concentra invece il fuoco sul decreto sulla Protezione civile Spa in discussione in Parlamento: «Il governo si fermi, insistere è irresponsabile, soprattutto dopo i fatti di questi giorni. Farebbero scomparire ogni garanzia di trasparenza e regolarità». Mentre l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi riesuma un must di tutti gli scandali: la commissione parlamentare d’inchiesta. «Mentre attendiamo con rispetto per magistrati e indagati le conclusioni dell’azione giudiziaria è urgente che il Parlamento faccia sentire la sua voce».

E per «salvaguardare il patrimonio rappresentato dalla nostra Protezione civile», finito nella bufera, «acquisisca gli elementi sufficienti a indicare sulla base dell’esperienza le linee per un’accurata delimitazione dei suoi confini di azione per una riorganizzazione interna».

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