Bersani e l’ex premier in imbarazzo scaricano Frisullo: «Un privato cittadino»

RomaIl rischio «cannibalizzazione», come lo chiama Francesco Boccia, è quello che più spaventa il Pd pugliese in questi giorni. Già, perché l’arresto di Sandro Frisullo, ex vicepresidente della Regione di fede dalemiana, può diventare l’ultima energica spinta al travaso di voti dal Pd al partito di Nichi Vendola. Una spinta che nei sondaggi sul voto pugliese ha già lanciato Sel (Sinistra ecologia libertà) oltre il traguardo delle due cifre, facendo calare di parecchio le quotazioni del principale partito di centrosinistra; e che si teme possa avere dei contraccolpi, sia pur minori, anche fuori regione.
Il governatore ricandidato ostenta grande tranquillità, e rivendica di aver messo alla porta Frisullo appena ebbe sentore del pasticcio che lo coinvolgeva: «Mi è bastato un avviso di garanzia per azzerare la giunta», tiene a ricordare. Scaricando tutte le responsabilità sul partito che aveva voluto Frisullo in giunta, ossia quello di Massimo D’Alema. Al quale tocca parlare, dopo 24 ore di silenzio, per difendere la sua parte e prendere le distanze dal reprobo: certo le accuse a Frisullo «colpiscono», e «se venissero provate sarebbero molto gravi». Ma con la questione «il Pd ha fatto i conti un anno fa: non fa più parte del governo regionale né ha incarichi di partito. È un privato cittadino». Dichiarazione simile fa, in serata, anche il leader Pd, Pier Luigi Bersani: «È una cosa dolorosa, ma la nostra differenza sta in questo: già otto mesi fa, quando iniziò l’inchiesta, Frisullo fu sostituito. Oggi diciamo: la magistratura faccia il suo mestiere».
I dirigenti vicini a D’Alema, in privato, ripetono che la decisione di arrestare Frisullo proprio ora, dopo mesi e mesi di indagini, ha tutto il sapore della «giustizia a orologeria». E se la prendono con Vendola e con «quel pezzo di Pd che ormai risponde a lui» per il tentativo di «cavalcare» le iniziative giudiziarie con il fine tutto politico di sovvertire gli equilibri interni al centrosinistra, in regione, e scalzare il potere dalemiano in Puglia. Spostandolo nelle mani del ricostituito asse Vendola-Emiliano. Un’operazione già iniziata con le sanguinose primarie vinte dal governatore uscente, che si è trascinato dietro diversi pezzi di ceto dirigente Pd ora schierato con lui: esemplari le vicende dell’ex sindaco di Andria Zaccaro o della candidata alla provincia di Barletta Pina Marmo, entrambi ex Dc passati al Pd, e ora fuoriusciti con la lista «Moderati per Vendola».
Di una cosa, per ora, sembrano tutti convinti in Puglia: il nuovo exploit della «giustizia a orologeria» non penalizza più di tanto il governatore ricandidato di centrosinistra. Ormai, anzi, i cataclismi giudiziari sembrano giovare a chi ne rimane vittima, e ne fa fede il paradossale interrogativo dell’esponente Pdl Francesco Nucara: «Non si poteva rinviare l’arresto a dopo il voto? O tutto questo servirà per aiutare la corsa di Vendola?».

A meno che - come segretamente spera qualcuno nel Pdl e pure nelle file dalemiane - dal cilindro inesauribile dei pm pugliesi non esca in extremis, a pochi giorni dal voto, un nuovo coniglio: la riapertura del filone d’inchiesta che coinvolge l’ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco. Che è sì del Pd, ma della fazione che lavora pancia a terra per Vendola. E allora per il governatore sarebbe più difficile quel gioco dello «scaricabarile» di cui l’accusano gli amici di D’Alema in queste ore.

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