Politica

Bersani ha un’idea nuova: espropriare Berlusconi

Genova Passa per essere il più severo con Di Pietro e i dipietrismi fra i tre candidati alla segreteria del Pd. Ma, ieri sera, alla Festa nazionale del Pd di Genova, a un tratto Pierluigi Bersani sembrava Di Pietro. Con tutt’altro tono, con tutt’altro aplomb, con tutt’altro approccio verbale. Sostituendo le ruvidezze lessicali molisane, con morbidezze emiliane, i «che c’azzecca» con le esse sciolte, i «voglio dire» con «’sto ambaradan».
Ma il concetto è lo stesso. Tonino, l’altro giorno, aveva scritto sul suo blog che «l’Italia dei Valori prevede una legge, mai voluta da destra e sinistra, sul conflitto di interessi che metta nell’impossibilità di vedere la figura di un ricco monopolista alla guida dell’Italia, così come accade nei Paesi sviluppati»? Bersani la mette giù con un linguaggio un po’ più giuridico, ma va a parare dalla stessa parte, nello stesso caruggio, si direbbe a Genova: quello di un esproprio, almeno del diritto di fare il premier. «Cosa penso del conflitto di interessi? Penso che chi è titolare di una concessione pubblica, sia come legale rappresentante, sia come proprietario, non può avere funzioni di governo». Ed è proprio quel riferimento al mero proprietario che mira dritto a Berlusconi, che così verrebbe in qualche modo cacciato dalla politica o dovrebbe rinunciare a Mediaset. E anche il riferimento bersaniano successivo, con tanto di autocitazione sulle «lenzuolate» va lì: «Penso di essere titolato a parlare di antitrust, visto che io sono intervenuto persino sul monopolio della rete elettrica. E credo che occorra un riequilibrio di reti e quote, a partire dalle risorse pubblicitarie». Concetto che somiglia da vicino al contenuto dei referendum veltroniani «non si interrompe un’emozione», poi falliti nelle urne. Insomma, è come se il timer fosse tornato indietro di anni. Come se la casellina del gioco dell’oca del Pd fosse tornata al conflitto di interessi.
Poi, Bersani, probabilmente, viene informato del fatto che Il Secolo XIX ha inserito il suo comizio alla Festa nell’elenco settimanale degli spettacoli e del cabaret. E fa di tutto per meritarselo con una battuta: «Sostengono che il trailer del film antiberlusconiano Videocracy non si può trasmettere per motivi di par condicio. Ma per Ombre rosse chiesero la replica agli indiani?». Il pubblico va in estasi. Sul fronte interno, Bersani vince il confronto a distanza con Franceschini. Soprattutto, non si sottrae alle domande di un giornalista di razza, come Andrea Montanari del Tg1, e non risparmia niente nemmeno ai suoi: «Voglio bene a Franceschini, ma se in un anno abbiamo perso 4 milioni di voti, sarà un problema un po’ di tutti. No?». La ricetta è quella della cancellazione del veltronismo: «Credo che non occorra aspettare il 51% dei voti, credo che ci sia più urgenza di alternanza». Quindi coalizioni, magari dalla sinistra radicale all’Udc. Quindi «se sarò eletto il primo giro di dialogo non lo andrò a fare da Berlusconi, ma dai soggetti con cui intendo discutere di alternative». E qui l’obiettivo non è Silvio.

È Walter, è Dario.

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