Come un Sarkozy sul sagrato dell’Eliseo, abbottonatissimo e a braccio teso verso il capo di Stato straniero che arriva in visita ufficiale. Affabile, disinvolto, tutto sorrisi, all’apparenza. Sotto sotto, un filino teso. Così, sul far della sera, un Emilio Fede in gran spolvero porge il benvenuto al Diavolo in persona. Signore e signori, ecco a voi, in diretta sul Tg4, Pier Luigi Bersani, leader del Pd. I comunisti in casa del più appassionato cantore del governo di Silvio Berlusconi! Roba strana, in effetti. «Così strana che secondo me i telespettatori, gli affezionati al mio telegiornale, avranno pensato di aver sbagliato canale», celia Fede, alla fine.
Fotografi e cronisti, sull’uscio del Palazzo dei Cigni, a Segrate, per salutare l’evento. Bersani, l’aria spaesata di un giapponese rimasto qualche anno di troppo nella giungla, prova a stemperare il clima che immagina ostile facendo ciao con la mano in direzione della curva sud, esattamente nel punto in cui sono acquartierati i tifosi della squadra avversaria: i giornalisti cattivi guidati dal più cattivo di tutti. «Questo è un Paese davvero strano, dove le cose normali diventano un evento», scherza. Va in onda un minuetto in punta di spadino. Io le mie idee le porto ovunque - risponde Bersani a chi gli domanda se non si sente come un cane in chiesa -. E comunque il Tg4 me lo ricordo dai tempi di Tangentopoli. Certe risate, con i servizi di Brosio». Fede sta al gioco, e ribatte come un ambasciatore del Celeste (anzi azzurro) impero. «Stimo molto Bersani, e non solo da adesso. Alle primarie del Pd io sono stato più attratto da Bersani che da Franceschini. Bersani è più intelligente. Dunque più pericoloso, dal punto di vista elettorale. Ma è necessario dialogare con un'opposizione guidata da una persona intelligente».
Prima che il sipario si apra, però, che silenzi, che imbarazzi, che tensione. Un silenzio di tomba cala sullo studio quando manca un minuto alla messa in onda. Concentrati come due pugili, quando sono ancora in accappatoio, Fede e Bersani ripassano botte e risposte.
«Perché chiedere le dimissioni di Bertolaso?» spara Fede. «Qui nessuno vuol condannare nessuno - attacca Bersani -. In questo Paese nessuno è colpevole finché non c’è una condanna, siamo d’accordo. Di Bertolaso chiediamo le dimissioni perché pensiamo che sia una questione di stile».
Sul video scorrono poi le immagini di via Padova a Milano. I segni della battaglia dell’altra notte sono ancora evidenti. «La gente ha bisogno di sicurezza. Colpa del buonismo e di una malintesa solidarietà se siamo arrivati a questo punto», sostiene Fede. Bersani ribatte che chi governa non può scaricare il barile, che l’immigrazione è un problema che va affrontato razionalmente, non con le boutade della Lega.
È il lavoro che manca, la crisi economica che morde, Termini Imerese che chiude. Sono questi i temi che Bersani vorrebbe veder dibattuti. E a Fede che sottolinea l’importanza di diffondere ottimismo, il leader del Pd risponde: «Io vorrei che il governo dicesse con franchezza: abbiamo un problema. In questo caso, io sono pronto a collaborare a un piano anti crisi. Facciamo una bella sessione parlamentare in diretta tv sulla crisi in cui ciascuno, maggioranza e opposizione, avanza la sua proposta. Secondo me ci sarebbe una bella audience». Per tre volte Fede incalza Bersani evocando il nome di Di Pietro, obliquo compagno di strada dell’opposizione. E per tre volte Bersani sorride, svicolando. «Io non ho insistito, ma ho capito che non voleva rispondere». Alla fine, grandi strette di mano. Bersani va via contento. Nella tana del lupo è stato trattato in guanti bianchi. Lui apprezza, Fede gongola.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.