Bersani, se questo è un segretario

Dicono che in questo Paese ci sia un problema Berlusconi. Nessuno però dice che il problema vero è un altro e si chiama «l’opposizione che non c’è». Nessuna democrazia può funzionare compiutamente senza i famosi pesi e contrappesi che in questi giorni vengono evocati dalla sinistra a difesa del presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e della libertà di informazione. Già, ma questo Paese ha contrappesi tutti extraparlamentari, al di fuori della politica. E guarda caso sono tutti alleati della «opposizione che non c’è», distorcendo così, in un’ipocrita rivendicazione di autonomia, le regole del gioco. L’uscita dal tunnel neppure si vede e non per le presunte mattane del presidente in carica ma per l’inconsistenza dell’opposizione certificata dai cittadini alle elezioni e nei quotidiani sondaggi sulle future intenzioni di voto. Prendiamo Pier Luigi Bersani, probabile nuovo capo di quel gran casino che è diventato il Pd. Tutti dicono, e personalmente condivido, che è bravo, perbene, preparato, intelligente, cattolico quanto basta per muoversi nel Paese del Papa. Insomma un uomo da sposare, elettoralmente parlando. Ha fatto il presidente della Comunità montana e il ministro. Cioè non ha fatto mai nulla nella vita. Nulla che possa incutere quel rispetto, quella autorevolezza, quella paura che sono i primi elementi che fanno di un buon padre di famiglia un vero capo, indiscusso e indiscutibile, potente e all’occasione cattivo.
Il partito gli ha offerto una poltrona dietro l’altra e lui ci ha posato sopra il posteriore non dopo aver detto grazie sempre a qualcun altro, come fanno i tutti secondi. Tanto è vero che neppure in questa occasione - la prossima settimana deciderà con la farsa delle primarie chi sarà il segretario tra lui, Franceschini e Marino - quella della vita, è un primo. Anche i sassi sanno che sta correndo per nome e per conto di un altro, che di nome fa Massimo D’Alema e che di fatto è l’unico numero uno vero della compagnia.
Rispetto a D’Alema, dicono gli esperti di cose sinistrose, Bersani non ha alcuna autonomia, né di pensiero né di azione. Può essere che nella sua testa ci sia l’idea di usare questo tram per poi scaricare l’attuale guidatore. Operazione difficile e comunque lunga, faticosa e dall’esito incerto (per essere generosi). Così in queste ore decisive si barcamena tra una trasmissione televisiva e un comizio sciorinando una serie di banalità e non detti che confermano la sua non leadership. Dice che è ora di smetterla di parlare solo di Berlusconi e non parla d’altro che di Berlusconi. La sua è una ossessione: «Il governo Berlusconi non ha fatto nulla», ripete. Come se lui avesse fatto qualche cosa di significativo oltre ad aver squassato, con la sua legge sulle privatizzazioni, il mondo dei farmacisti e dei tassisti italiani. Già, perché cuor di leone si è ben guardato, quando pure ne avrebbe avuto il potere da ministro dell’Industria, del Commercio e dei Trasporti, di andare a toccare il «mercato» vero, quello dove potere e interessi ai massimi livelli la fanno da padrone.
«Il mercato, parliamo del mercato», tuonava l’altra sera in tv da Santoro. Ma non è riuscito a proporre qualche cosa neppure per quello sottocasa dove va a fare la spesa. «Siamo pieni di disoccupati, c’è da preoccuparsi», sentenziava come se fosse uno scoop dell’ultima ora. Me lo dice ogni giorno da un anno anche il mio vicino di casa e io ogni giorno lo guardo e mi limito ad allargare le braccia. Esattamente come Bersani. Solo che lui è il candidato capo dell’opposizione e un domani del governo, io sono un giornalista e faccio già fatica a tenere il mio di posto di lavoro.
In questi giorni però Bersani il meglio di sé lo dà sulle istituzioni. «Giù le mani dalle istituzioni», urlava da Santoro. Ma quando gli ricordi che lui e i suoi amici hanno messo le mani addosso a tre presidenti della Repubblica, Segni, Leone e Cossiga, ti risponde con ghigno emiliano: «Ma per favore, la smetta, questo che c’entra?». Ed è già una risposta, non da capo né da vice ma almeno sono parole infilate una dietro l’altra, le stesse che usa quando gli chiedi come mai un suo democratico funzionario voleva cercare un killer per piazzare una pallottola nella testa di Berlusconi.


Il silenzio totale però arriva alla contestazione che Napolitano, essendo stato imposto dalla sinistra e votato presidente solo dalla sinistra non può essere considerato il presidente di tutti gli italiani. Qui il mutismo e l’imbarazzo lo smascherano senza pietà. No, non ci siamo. Un capo ha sempre una risposta. Morale: la sinistra non ha e non avrà capi. Per questo si affida a giudici e giornali.

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