Roma - Spiazzati, irritati, preoccupati. «Una esternazione veramente sgradevole, quella di Monti oggi»,sibila un dirigente molto vicino ai vertici del Pd. E il segretario Bersani prima fa trapelare e poi rende esplicito il suo netto dissenso dall’ipotesi di un Monti-bis, per la prima volta ufficialmente avallata dal diretto interessato: «Non possiamo passare da un’eccezione all’altra, se qualcuno pensa di prenotare, rendendole inutili, le prossime elezioni, nel senso che il giorno dopo io devo fare una maggioranza con Berlusconi o Grillo, io mi riposo. Non intendo farlo». E avverte il premier: «Se vuole continuare a governare, deve avere una maggioranza politica, perché andare avanti così non è possibile ». Si riferisce alla prossima legislatura, e al fatto che devono essere le urne a stabilire chi governa, ma suona come una potenziale minaccia, per chi è oggi a Palazzo Chigi con l’indispensabile avallo del Pd.
Se il niet del segretario è chiaro, i suoi ci vanno giù ancora più duri: «Sarebbe patologico se la prossima legislatura si aprisse con un premier altro rispetto a chi ha ricevuto la maggioranza relativa dei voti», tuona Stefano Fassina.
Presi in contropiede dalla mossa del premier, che dagli Stati Uniti fa sapere di non escludere un bis («Sono gli americani che non vogliono noi comunisti al governo, si sa», ironizza il franceschiniano Piero Martino, che comunista non è mai stato), gli uomini di Bersani organizzano la linea di resistenza. Se Monti vuole restare in campo si candidi di fronte agli elettori, è il ritornello che ripetono da Letta a Franceschini a Fioroni. Il grimaldello che potrebbe rendere inevitabile il ritorno a un governo di larghe intese con Monti è una legge elettorale proporzionale, che non assegni a nessuno schieramento una vittoria chiara. Dunque, la linea del Piave per il Pd di Bersani è la difesa del premio di maggioranza. Quello attuale, previsto dal Porcellum,è ovviamente l’ optimum . «Prevedo che la riforma della legge elettorale subirà un deciso rallentamento», butta lì un esponente della segreteria Pd.Ma una difesa esplicita dell’orrido Porcellum il Pd non può permettersi di farla, e Monti ricorda (perfidamente) che alla riforma si sta lavorando e che «con una figura chiave come il presidente Napolitano confido che venga approvato in tempi non troppo lunghi». Può il Pd mettersi di traverso rispetto ai voleri di Napolitano? Fosse solo il capo dello Stato, poi: il problema principale, per Bersani, è chemezzopartitotifaperunariformaelettorale che favorisca il Monti bis. Cosa che il segretario sa da tempo, e per sventare la quale ha indetto le primarie,con l’obiettivo di blindare la propria candidatura a premier. Le regole per le primarie andranno varate nell’Assemblea nazionale del 6 ottobre, che dopo l’uscita di Monti rischia di diventare ancor più complicata di quanto già non si presentasse. Mentre l’immediato endorsement di Pier Ferdinando Casini al Monti bis mette fine al disegno di un’alleanza tra chi «organizza il campo dei moderati» e chi quello dei «progressisti» che stava alla base della proposta di governo del Pd di Bersani. L’unico alleato resta a questo punto Vendola, che però sembra sempre più deciso a sfilarsi da primarie «tutte interne al Pd»,e in cui Renzi scala sempre più in fretta i sondaggi. Sabato si riuniscono i sostenitori del Monti-bis (Tonini, Morando, Ichino, Ceccanti, Gentiloni e anche un Napolitano-boy come Umberto Ranieri, che proprio ieri sul Foglio invitava il Pd a «tenere da conto Monti»), che sono in gran parte pro-Renzi e che ieri sera esultavano.
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