Per capire la difficoltà si può partire dall’alto, per esempio da Massimo D’Alema. «Sarò in piazza perché» è la campagna che il Pd ha lanciato in vista della manifestazione anti governativa di oggi a Roma, e su Youdem il lìder Maximo l’ha messa così: «Sarò in piazza perché dopo 10 anni Berlusconi se ne va. Forse. Probabilmente. Speriamo e vogliamo». Per la serie: facci ’sto favore Silvio. Oppure si può partire dal basso, dalla foto di Martina Panagia, attrice, conduttrice, madrina della kermesse democratica, e dal commento che Rudy Francesco Calvo, giornalista del quotidiano Europa, ha postato su Facebook: «Per chi ancora non ha deciso se partecipare alla manifestazione del Pd: lei è la conduttrice. Mi pare già un buon motivo per essere in piazza. Per le ragazze, segnalo che c’è quel gran figo di Cristiano Bucchi, quindi arrivate in massa anche voi!». Alta politica, ecco.
È che un mese fa era tutto diverso. Vista dall’opposizione, un terremoto. Il 6 novembre, quando ha lanciato la grande mobilitazione di piazza di oggi, Pier Luigi Bersani pensava a una passeggiata fra le macerie dell’Impero (berlusconiano). Gli elementi c’erano tutti. Il «caso Ruby» pareva mangiarsi la credibilità financo internazionale del premier; Gianfranco Fini portava via i ministri del Fli dal governo; in Parlamento si preparava la resa dei conti, con il Pd a presentare una mozione di sfiducia alla Camera e il Pdl a rispondere con una di fiducia al Senato; Di Pietro che giurava: «Il governo ha le ore contate», e persino Bossi che si preoccupava: «Silvio potrebbe accettare un reincarico»; pure il maltempo ci s’era messo, col Veneto sommerso e il Pd a gongolare: piove governo ladro.
E poi eccoci a un passo dal traguardo, con l’orizzonte che si allontana e Bersani che da capo cantiere della ricostruzione si ritrova a fare il capo gita e dice cose tipo: «Perché vado in piazza? Con tanta gente che arriva bisogna che qualcuno parli». Ieri il Pd dava i numeri: 18 treni speciali, 1500 pullman, due bande musicali, due cortei verso San Giovanni, migliaia di scaldacollo perché il freddo non deve scoraggiare, almeno tre star, Roy Paci quello di «toda joia toda beleza», Simone Cristicchi quello che vinse Sanremo con una canzone sui manicomi, e il solito Neffa con «Cambierà», colonna sonora del Pd, ma non è che porta male visto che poi non cambia niente?
Il fatto è che adesso Bersani il pifferaio fa parte di un coro stonato. Perché la maggioranza che si dava per disintegrata, secondo le ultime stime è a quota 314 deputati, uno in più degli «sfiducianti». Con contorno avvilente a tratti frustrante. I duri e puri dell’Idv, per dire: dovevano essere i più convinti avversari del Cavaliere, e invece è proprio fra loro che il Pdl ha conquistato nuovi sostegni alla causa. E i radicali, mannaggia a loro: votiamo no, anzi sì, boh, e Bersani costretto a rabbonirli: «Quello è un partito che non si vende», come se la filosofia stessa di vita dei radicali non fosse invece, per loro stessa ammissione, vendersi al miglior offerente (politicamente, s’intende). Insomma certo Bersani non si aspettava che la fine dell’Impero fosse appesa alla gravidanza della povera Federica Mogherini, ridotta a far le scale per anticipare il parto e presentarsi in Aula il 14. Con l’aggravante che il Pd non è protagonista neppure dell’ultima grande battaglia, visto che dai pm a denunciare la compravendita di voti c’è andato Tonino seguito persino dai Verdi, mentre Pier Luigi ancora domandava: «È solo questione morale o è corruzione?». Lento. Dulcis, anzi, amarus in fundo: neanche più sui giudici si può contare, visto che la Corte Costituzionale ha rinviato dal 14 dicembre a gennaio l’udienza sul legittimo impedimento, proprio per evitare quell’«eccessivo sovraccarico mediatico in un clima esterno infuocato» in cui il Pd invece sperava.
Ieri Bersani giurava: «Sarà una festa di liberazione da Berlusconi, grazie alla quale il 14 in aula partiremo da una posizione più avanzata». A dire il gelo, almeno due dichiarazioni. Quella di Oliviero Diliberto il leader della Federazione della Sinistra a Liberazione: «Ovunque, di fronte ad un governo in crisi, l’opposizione chiede le elezioni salvo che in Italia. Il fatto è che il Pd è paralizzato dalle proprie contraddizioni interne».
E quella di Matteo Renzi, il sindaco «rottamatore» di Firenze: «Faremmo un grandissimo errore se pensassimo che Berlusconi è finito, anche solo per scaramanzia. Tutte le volte che il centrosinistra è convinto che Berlusconi sia finito, rivince». Menagramo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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