Berti, lo stakanovista della penna che sfidò il conformismo «rosso»

di Nicola Forcignanò

Ha scelto il giorno di Pasqua per andarsene, uno dei pochissimi giorni in cui i quotidiani sono chiusi e i giornalisti non lavorano. Negli altri giorni non avrebbe avuto tempo, sarebbe stato come sempre alla sua scrivania. Riccardo Berti non ha fatto altro nella vita che lavorare. E il giornalismo per lui continuava ad essere una passione prima ancora che una professione. Aveva cominciato giovanissimo, a 24anni era già professionista. E non s’è mai fermato. Quarant’anni di notizie, di inchieste, di interviste e di polemiche che l’hanno portato in giro per tutto il Paese.
Era partito da Prato, «la città degli stracci» (come la chiamava Curzio Malaparte) che lui ha sempre amato e che ha raccontato nei suoi articoli. Poi, s’è trasferito a Firenze e, come inviato speciale della Nazione, ha seguito i maggiori avvenimenti di cronaca italiana: dal terremoto in Friuli all’inondazione della riviera romagnola, dai più clamorosi delitti alle contestazioni studentesche; dai maggiori appuntamenti politici agli storici incontri internazionali.
Negli anni Settanta ha vissuto la «stagione del terrorismo» raccontando sulle pagine de La Nazione e de Il Carlino la cronaca di quel tragico periodo: dagli espropri proletari agli assalti delle Brigate Rosse, dai delitti di Prima Linea agli scontri di piazza. Proprio per i duri commenti scritti nei confronti dei terroristi, fin dalle loro prime apparizioni, il suo nome fu scoperto in un covo brigatista di Milano insieme con quelli di altri personaggi che nella follia della logica terroristica avrebbero dovuto essere uccisi.
Quelli erano gli anni anche delle rivolte nelle carceri: Alessandria, Porto Azzurro, Volterra, Torino. E fu proprio nel penitenziario di San Gimignano, vicino a Siena, che Berti venne preso in ostaggio da un gruppo di rivoltosi con i quali stava parlamentando. La sommossa si concluse con una violenta sparatoria: uno dei detenuti che teneva Berti in ostaggio fu ucciso dai tiratori scelti dei carabinieri e della polizia appostati sui tetti dei palazzi davanti al carcere. Per questo episodio, Berti fu insignito del premio giornalistico «il cronista dell’anno».
Nella sua carriera ha diretto il Piccolo di Trieste e la Nazione di Firenze. Nel 1998, l’attuale coordinatore di Forza Italia, Denis Verdini, banchiere, gli offrì l’incarico di creare un nuovo quotidiano. Berti fondò quindi il Giornale della Toscana, legato a il Giornale con il quale è sempre stato venduto in edicola. Fu una vera avventura, nella regione più a sinistra del Paese, un giornale di centrodestra che rappresentava finalmente i moderati e allo stesso tempo denunciava le tante malefatte delle amministrazioni di sinistra.
Ho avuto la fortuna di affiancare Riccardo Berti e Riccardo Mazzoni, che era stato il suo fedelissimo vicedirettore a La Nazione e che si era portato a il Giornale della Toscana, oggi parlamentare Pdl, nei giorni che hanno preceduto il debutto di questo nuovo quotidiano. Ricordo l’entusiasmo di Berti che in tutti i modi cercava di trasmettere alla redazione: un gruppetto di giovani cronisti privi di esperienza che lui volle a tutti i costi e che, in breve tempo, trasformò in veri giornalisti.
Le coincidenze della vita vollero poi che io lo sostituissi due anni dopo, quando egli venne chiamato a Roma a far parte dello staff strategico del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Resistette pochi anni, poi volle tornare alla sua vera passione, il giornalismo.
Ebbe l’incarico, non facilissimo, di condurre la trasmissione di Raiuno Batti e ribatti, che sostituiva il Fatto di Enzo Biagi. Poi, Berti andò a dirigere Isoradio e Speciale Parlamento. Era condirettore di Gr3.

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