Bertinotti alla Camera, l’assicurazione per Prodi

da Roma

Proprio nel momento «clou» della partita per Montecitorio, Fausto Bertinotti ha staccato la spina. Come da programma familiare, è uscito dall’ufficio di viale del Policlinico e ha raggiunto moglie e nipoti in tempo per cena. A casa è stato informato delle dichiarazioni di D’Alema: «Ah sì? Vedremo... Seguiamo con serenità l’evoluzione dei fatti», raccomandava ai suoi. Intanto nel partito si diffondeva la percezione che «forse sì, stavolta è fatta». La diga di Romano non aveva ceduto, i Ds dovevano far quadrare altrove i loro conti.
La trepidazione dell’altroieri lasciava man mano posto a una serena attesa delle decisioni di Prodi. La lettera di Fassino veniva valutata dal segretario «sotto una luce positiva». Il cellulare diventava rovente: «Ho letto con attenzione... Non c’è altro da dire, perché dovrei? Non cambia nulla...». A rafforzare la fiducia era la condivisione di un dato politico, tanto nella lettera di Fassino quanto nelle successive parole di D’Alema. L’ammissione che si era arrivati a un «impasse» che, non risolto, «rischia di esporre la coalizione di centrosinistra a una pericolosa, quanto imbarazzante divisione». In aggiunta, la confessione del presidente ds: «Io non ero neanche così propenso, mi sono fatto carico della richiesta del mio partito...», unita alla volontà di «non arrivare a uno scontro, per giunta sulle poltrone».
Insomma, la questione era posta su un terreno politico che avrebbe favorito la «legittimità» della richiesta di Prc, sulla base di due considerazioni. La prima: che «inchiodare» Bertinotti al profilo istituzionale significa stipulare un’assicurazione sulla vita del governo Prodi, altrimenti in affanno fin dalla nascita. La seconda: che la richiesta dei Ds di Montecitorio avrebbe squilibrato l’intero comparto istituzionale. «Vogliono il Partito democratico, lavorano ai gruppi parlamentari unitari, ma non è che poi l’Ulivo possa pretendere tre poltrone su tre...», argomentava Franco Giordano, probabile «reggente» del partito nel caso in cui Prodi scelga Bertinotti come presidente della Camera.
Una tesi sintetizzata ieri anche in un editoriale del direttore di Liberazione, Piero Sansonetti. «La coalizione di centrosinistra è stata costruita sull’alleanza tra due componenti essenziali, e cioè la sinistra moderata e la sinistra radicale...». La sinistra moderata, scriveva Sansonetti, è costretta all’alleanza dal fallimento dell’esperienza dei governi D’Alema e Amato, «quando ha governato da sola». E se questo è il cardine teorico da cui nasce l’Unione, non sembra «ragionevole e giusto» che tutte le cariche istituzionali vadano all’«area moderata».

Il direttore non esita a paventare un «atto di prepotenza» che «creerebbe all’interno dell’alleanza un problema politico serio». Un problema che Prodi pare ora aver voglia di sbrogliare con la consapevolezza che per Prc contropartite non sono possibili. Ma per la Quercia sì.

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