Roberto Scafuri
da Roma
Uno doveva pesarsi, laltro è in linea da tempo. Uno dovrà inventarsi un partito, laltro lha già rifondato. Uno trionfa, laltro si contenta e gode. Romano Prodi supera la soglia del 70 per cento, Fausto Bertinotti quella del 15, quasi il triplo dei voti del Prc. Romano monopolizza lUnione, rilancia lUlivo «vero». Fausto getta unopa sulla sinistra radicale e dice no ad annegarsi in una lista dellUnione, «a maggior ragione ora».
A mezzanotte in punto va la ronda del piacere di entrambi, e un lungo abbraccio a piazza dei Santi Apostoli suggella la vittoria, la gioia, lasse trainante della nuova Unione. Si brinda con lo champagne nellufficio di Prodi quando escono i primi dati, la festa continua sul Tir giallo, dove il Professore non vede lora di suonare il clacson. Arriva Bertinotti a mezzanotte, e il vincitore laccoglie con le dita fissate sul tre, «Fausto, sono più di tre milioni! Non ci posso credere...». Bertinotti non si sottrae, anzi ricambia: «Oggi si è manifestata lessenza dellUnione che è la democrazia partecipata. Se lUnione saprà svilupparla non dovrà più temere niente e anche la questione del programma è sostanzialmente risolta da questo processo... Il programma lo fa il popolo, non bisogna che qualcuno diventi così micragnoso da entrare in un braccio di ferro sulla misura dei pesi da cui far derivare meccanicamente il programma. È chiaro che chi vince ha lambizione di rappresentare tutti, unambizione giusta che condivido».
Forse è il regalo più bello che Prodi potesse attendersi nella notte dellincoronazione: Fausto farà il «buono» e riconosce in Prodi, nel Prodi che sa mettersi in gioco con le Primarie, nel Prodi del bagno popolare, la «calamita» dellUnione e il leader condiviso. Il Professore tira un sospirone: «Ho i margini che mi permettono veramente di lavorare con serenità». Linvestitura del popolo viene interpretata come «un carico da novanta» e soprattutto «una richiesta di unità e di azione comune sia per le elezioni che per il governo che seguirà se riusciremo a vincere. Unindicazione netta che non dà luogo a equivoci... Tante polemiche sono state chiuse dai fatti, adesso bisogna trarne le conseguenze. Da domani cambiano molte cose...». Nella partecipazione straordinaria Bertinotti scorge la «vittoria del popolo della sinistra, non dei partiti». Coerente con la sua linea di opposizione agli apparati di una politica in crisi, il leader rifondatore saluta le Primarie come «un fatto politico che resterà nella storia del Paese e sul quale riflettere».
Il Professore ciclista e il rifondatore postcomunista, le «divergenze parallele», nellineguagliabile sintesi giornalistica di Gian Antonio Stella. Vincono assieme quando luno mette i panni dellaltro. Prodi fa il Bertinotti e arrischia le primarie; Bertinotti fa il Prodi e accetta le responsabilità di un partito di governo. Prodi utilizza il metodo bertinottiano della partecipazione democratica a tutto campo, non a caso sempre osteggiata dai Ds e dalla Margherita. Bertinotti utilizza il linguaggio felpato protodemocristiano del Professore, e si guarda bene dal pronunciare una parola che sa essere sgradita ai moderati, come «patrimoniale».
Entrambi votano vicino casa, uno a Bologna e laltro a Roma. Entrambi accompagnati dalle mogli, recandosi al seggio a piedi, facendo la fila come tutti gli altri cittadini, entrambi felici di mescolarsi ai comuni cittadini. «In coda anchio, tutti in coda, anchio...», gongola il Professore mentre si gode «questa bella prova di democrazia... la bella risposta a questi giorni di tristezza». Bertinotti filosofeggia: «Il fenomeno trascende, lallegria e la fila sono una contraddizione, un ossimoro. Invece oggi abbiamo visto tanta gente in fila che era allegra... ». Si vede a occhio che la «partecipazione democratica» piace alla gente e anche ai due duellanti, che superano i vincoli tortuosi e oscuri dei partiti organizzati. Certo, dice il leader rifondatore, nella straordinaria affluenza avrà contato anche «lavversione a Berlusconi», però è smentito chi pensava che le primarie fossero inutili.
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