Bertinotti inventa la «Sala rossa» di Montecitorio

da Roma

A Montecitorio non è passata inosservata l’intervista concessa la scorsa settimana al Tg3 dal presidente della Camera Fausto Bertinotti. Non per i contenuti, ma per il contenitore. O meglio per come, su richiesta dello stesso presidente, è stata arredata la Sala gialla di Montecitorio, solitamente utilizzata per gli incontri con le delegazioni diplomatiche. Non è la prima volta che Bertinotti decide di ambientarci i propri conversari con la stampa, ma non pare avere precedenti l’allestimento di quella splendida sala col simbolo della Sinistra arcobaleno. Un pannello di un metro per due con 32 riproduzioni del simbolo della Cosa rossa e accanto le bandiere che solitamente accompagnano l’immagine delle cariche istituzionali, il tricolore e quella dell’Ue. Ironicamente, in questi giorni in Transatlantico si paragonava l’immagine tv del presidente comunista a quella del Re Sole. Non che i suoi predecessori si siano fatti mancare il sostegno mediatico dell’immagine istituzionale, ma nemmeno Irene Pivetti - notavano i decani del Transatlantico - era mai arrivata a mettere i vessilli del suo partito nelle stanze della presidenza.
Non contento dei comfort di cui gode durante gli incontri con la stampa e pure del record di presenze in quanto a ospitate a Porta a Porta, cosa ha fatto Bertinotti? È andato a protestare sotto gli uffici di viale Mazzini insieme alla Sinistra Arcobaleno e, chiesto e ottenuto un incontro con il presidente Claudio Petruccioli, gliene ha finalmente cantate quattro sulla in-par condicio che vige in Rai verso i partiti minori.
Quella dell’intervista con sfondo partitico-istituzionale, peraltro, non è l’unica sbavatura che negli ambienti di Montecitorio rimproverano al candidato premier della Cosa rossa. Un altro dei tabù infranti riguarda l’essersi presentato all’apertura della campagna elettorale della Sinistra Arcobaleno, il 2 marzo all’Ambra Jovinelli di Roma, accompagnato dagli uomini del cerimoniale della Camera. Nulla di irregolare, ma di precedenti non ce ne sono.
Bertinotti, d’altronde, è stato un presidente decisamente incline alle gaffe protocollari.

La prima la fece appena eletto: resosi conto di non comparire tra gli ospiti d’onore della cerimonia per l’annuale relazione del governatore di Bankitalia Mario Draghi, fece chiamare Palazzo Koch dai propri uffici per riservarsi un posto in prima fila.

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