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BERTINOTTI RESTI IN SALOTTO

BERTINOTTI RESTI IN SALOTTO

Gli inviti a fare un passo indietro risuonano da tempo, nella vita politica italiana, come una sorta di ritornello. Invita il capo dello Stato, invitano gli esponenti della cosiddetta società civile, invita la Chiesa. Il più delle volte questi messaggi che esortano alla conciliazione, se non alla contrizione, prevedono che qualcuno rinunci a qualcosa che gli è stato promesso e che da altri gli è conteso. Pur mancandoci del tutto l’autorevolezza che di solito è ritenuta indispensabile per formulare inviti di questo calibro, ne azzardiamo uno anche noi. È rivolto a Fausto Bertinotti, presidente in pectore della Camera dei deputati, leader d’un partito - Rifondazione comunista - uscito bene dalle recenti elezioni, punto di riferimento per la sinistra-sinistra: un magma dagli incerti contorni che spinge le sue colate fino ai gruppuscoli più dissennati e ai vociferatori più truci. I tipacci, per intenderci, che hanno insultato Letizia Moratti e il padre, che hanno bruciato le bandiere di Israele, che hanno gridato «Dieci, cento, mille Nassirya». Un auspicio purtroppo avveratosi nel volgere di poche ore.
Gli piaccia o no - ma si direbbe che in molte circostanze gli piace - il subcomandante Fausto è la guida ideale di questi fanatici. Qui sta l’elemento che distingue la sua possibile e secondo ogni indicazione imminente presidenza di Montecitorio da quelle d’altri comunisti come Pietro Ingrao e Nilde Iotti. Ingrao e la Iotti erano notabili d’un Pci che covava nel suo dna e magari in certi suoi propositi del momento una vocazione repressiva, ma che era strutturalmente ostile all’improvvisazione, allo spontaneismo, agli sfregi d’una ragazzaglia brutale. Con il che non si vuole per niente rivalutare il togliattismo, solo osservare che il bertinottismo è tutt’altra cosa.
L’abbiamo già scritto e lo ripetiamo: non attribuiamo a Bertinotti, peso leggero, propositi tenebrosi. Ma Francesco Caruso e compagnia sono creature sue, agli «antagonisti» intolleranti e arroganti lo uniscono connessioni nemmeno tanto sottili. È concepibile la figura di un leader che sia per alcuni comportamenti piuttosto snob e parolaio, per altri propenso alla sovversione dell’ordine sociale (ben inteso nel nome d’una superiore e arcana giustizia, comunista of course). Si sono visti nella storia tanti soggetti di questo genere, con le loro sofisticate elaborazioni ideologiche, i loro vezzi demagogici, le loro spinte populiste. Soggetti che stanno bene - si fa per dire - all’opposizione. Ma che non possono adempiere una funzione di governo istituzionale, perché questi ruoli dovrebbero ripugnare al loro modo di essere e comunque il loro modo di essere ripugna a questi ruoli.
Sia serio, onorevole Bertinotti: smetta i gessati che improvvisamente ha cominciato ad indossare, ritorni alle giacche di tweed, ai pullover di cashmere e alle pipe che sono i suoi marchi di fabbrica. Faccia il rivoluzionario da salotto o il salottiero della rivoluzione. Coccoli pure - con qualche cauta presa di distanza - le teste matte che all’Unione hanno sicuramente portato i voti necessari per carpire una striminzita maggioranza. Ma se vuol darci ascolto l’aula di Montecitorio la lasci ad altri. Il suo passo indietro sarebbe molto apprezzato, anche da Massimo D’Alema suppongo. E le guadagnerebbe applausi da ogni parte, inclusi i nostri, convinti.
P.S.: parole al vento le nostre, ce ne rendiamo conto.

Ma provarci non guasta.

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