Bertolaso, l’uomo in polo che risolve i problemi di «big», sfollati e pellegrini

RomaErano passate poco più di due settimane da quella notte maledetta, e il Consiglio dei ministri riunito all’Aquila prese la decisione di spostare in Abruzzo il G8. «Lucida follia», osserva ora Silvio Berlusconi, quando il vertice si è appena chiuso e tutto è filato più che liscio. Ma se i risultati del G8 sono stati lusinghieri, e se il ritorno d’immagine per l’Italia è stato eccellente, lo si deve anche al regista del summit organizzato a tempo di record nella capitale del dolore: Guido Bertolaso. Aveva guidato le operazioni di soccorso all’indomani del sisma da commissario straordinario per l’emergenza, ed era accanto al premier anche in quel 23 aprile, quando si decise per il cambio di sede del G8. La scommessa del governo, manco a dirlo, a quel punto era anche la sua. Il capo della Protezione civile poteva alimentare la propria fama di «uomo che risolve i problemi», o ritrovarsi alle prese con un pasticcio e gli occhi del mondo addosso. Lui però ha creduto subito al progetto. «Un colpo di genio, sull’Aquila non calerà l’attenzione», confidò ai suoi più stretti collaboratori a caldo, prima di mettersi al lavoro per risolvere i mille problemi con la squadra di sempre. Quella, rodatissima, già in azione dallo tsunami al vertice Nato a Pratica di Mare, dai funerali del Papa all’emergenza dei rifiuti in Campania. Da allora GB non ha smesso di lavorare: due notti fa alle due era ancora in piedi, a coordinare le prove generali per la cerimonia con la quale i grandi della terra hanno reso omaggio alle vittime del sisma, in chiusura di vertice.
È stato l’uomo ovunque di questo G8 (e non ha disertato nemmeno l’emergenza di Viareggio), sempre con addosso la polo della Protezione civile e non la giacca, un modo di sottolineare il suo ruolo operativo. Compito mica semplice. Non c’era solo da organizzare, e poi da gestire, un vertice mai così esteso, con 39 delegazioni straniere, ospiti del calibro di Barack Obama e 4mila giornalisti, ospitati in un territorio dove il rischio sismico è ancora concreto. Bisognava anche proseguire i lavori per la ricostruzione. «Ogni mattina alle 7 Bertolaso era nella sala operativa per il G8 a presiedere il briefing sul vertice. E un’ora e mezza dopo te lo ritrovavi nella sala che coordina il progetto case», racconta incredulo un suo collaboratore.
I cantieri non si sono fermati mai, i camion hanno avuto una deroga al blocco della circolazione del traffico pesante nei giorni del vertice. E alle critiche dei no global, che ieri nel corteo di protesta anti G8 hanno preso di mira soprattutto lui, hanno fatto da contraltare gli autorevoli attestati di stima incassati dal capo della nostra Protezione civile. Berlusconi, ovviamente, ma anche Ban Ki Moon e Medvedev: il presidente russo non ha lesinato complimenti per la «meravigliosa» organizzazione, riservando un esplicito «grazie» proprio a Bertolaso e alla sua squadra, «capace di mettere insieme una cosa così complessa in una situazione così difficile». Ha fatto da guida per i capi di Stato in visita alle rovine del centro dell’Aquila, riportando il capoluogo all’attenzione internazionale e sensibilizzando i leader sul dramma che ha colpito la popolazione abruzzese. Solo ieri, alle prese con il coordinamento delle operazioni per il deflusso dei cortei, ha dovuto rinunciare ad accompagnare il premier britannico Gordon Brown a Onna. Poco male. Resta il prepotente ritorno mediatico per le zone colpite dal terremoto, e dichiarazioni come quella di Obama («L’Aquila verrà ricostruita, la coraggiosa gente di questa città sarà sempre nel nostro cuore») che, anche per il governo italiano, diventano un impegno imprescindibile, una «garanzia per la ricostruzione», come voleva proprio Bertolaso. Chi gli ha lavorato accanto in questi giorni dice che il sonno «è stato un optional», e ammette che i complimenti a fine vertice gli hanno fatto piacere. Ma a dargli davvero soddisfazione sono state le cronache dai luoghi del disastro.

Perché la sfida nella sfida, vinta pure questa, è stata mettere la macchina dei soccorsi e della ricostruzione sotto i riflettori di migliaia di giornalisti di ogni parte del mondo, e farla uscire indenne. Anzi, elogiata.

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