Tony Damascelli
Graham Williams era un difensore, ma proprio di quelli tosti di una volta, con la faccia da identikit pur senza tatuaggi sul corpo. Giocava con il West Bromwich Albion che negli anni Sessanta navigava in zona alta del campionato inglese. Il Manchester United presentava un nuovo attaccante, ala destra per la precisione, un irlandese magrolino, di diciassette anni, George Best. Era arrivato da Belfast, insieme con Eric McMordie, amico del cuore e pure lui calciatore ma di difesa. Dopo ventiquattro ore di provino avevano ripreso il treno e tornati nellUlster, non era roba per loro. Due settimane dopo Matt Busby, capo e leggenda di quel Manchester, ricevette una telefonata dal padre di George: il figlio avrebbe risposto ad eventuale chiamata. Così fu.
Venne il giorno di Best contro Williams. George segnò un gol dei suoi, tiro a girare, allangolo alto della porta. Seguirono dribbling e fantasie varie, Williams che aveva gli anni suoi, cercò invano lirlandese. Si ritrovarono anni dopo, durante una festa. Graham Williams avvicinò Best e gli disse: «Senti, ho voglia di vedere la tua faccia perché quel giorno, ricordi?, ho visto soltanto il tuo culo scappare oltre la linea bianca del campo». Best non è mai stato un vigliacco con il pallone. Lo è stato con se stesso. Fragile e ribelle, bruciato da una esistenza bellissima e feroce, già vecchio a 25 anni quando lera gloriosa di Busby si era spenta e i nuovi manager O Farrell o Docherty non avevano capito i vizietti del ragazzo irlandese, definito il quinto Beatle, per il taglio di capelli, per la frequentazione di modelle e di pub. «Nella mia vita ho speso molte sterline per donne, alcol, macchine. Il resto lho sperperato».
La frase è linsegna sul magazzino che è la vita di George Best, un deposito di malinconie. George correva tenendo stretto nel pugno della mano destra il polsino della manica lunga, la maglia del Manchester che fu la prima di una lunghissima serie, Stockport County, Cork Celtics, Dunstable Town, Los Angeles Aztecs, Fulham, Fort Lauderdale Strikers, Hibernian, Saint José Earthquakes, Bournemouth, Brisbane Lions e Ford Open Prison.
Questultima non era una squadra di football ma il carcere nel quale venne rinchiuso per guida in stato di ubriachezza e aggressione a un poliziotto: «Nella vita ho cercato di fare quello che facevo in campo, essere più veloce di tutti ma anche dribblarli». Dove dribbling, stando alla sua etimologia, ricorda qualcosa di viscido, che si insinua, come il serpente velenoso che lentamente ha vinto George Best, mordendolo al fegato (trapianto nel 2002), uccidendo lamore per le moglie, Angie o Alex, costringendolo a girare per pub e ospedali. E questa volta potrebbe essere lultima. È ricoverato a Londra, respira con laiuto dei macchinari. E la notte scorsa ha avuto unemorragia interna.
Di certo è stato il primo esempio mondiale di calciatore business, riceveva oltre cinquemila lettere alla settimana, era lidolo dei tifosi e lossessione sessuale delle tifose, non praticò grandi palcoscenici mondiali perché la nazionale dellIrlanda del nord era poca cosa ma con il Manchester andò a vincere la coppa dei campioni e personalmente alzò il trofeo di Pallone doro (nel 1968). Su di lui hanno girato un film e John Lynch ne è stato linterprete.
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