Ma la Betancourt aveva detto: ho vinto io

Ci sperava, eccome se ci sperava. Anzi, ne era sicura. La conferenza stampa era già convocata, i giornalisti allertati, la sala prenotata. E il comunicato dei suoi sostenitori girava per le redazioni da giovedì pomeriggio: «Attribuendo il premio Nobel per la Pace a Ingrid Betancourt il Comitato per i Nobel indirizza un energico messaggio a tutti i rapitori e terroristi che giocano con la libertà degli esseri umani», recitava il testo del «Collettivo Agir avec Ingrid». Non paghi di far a pugni con la scaramanzia i sostenitori dell’ex ostaggio delle Farc s’erano inventati una conferenza stampa in un albergo di Parigi con un orario da cabala: le 13 di venerdì.
Ma alla fine più di tutto ha pesato la doppia nazionalità francese e colombiana. Non ci fossero stati il Nobel per la medicina a Luc Montagnier e Francoise Barré-Sinoussi e quello per la letteratura a Jean-Marie Le Clézio l’ex ostaggio delle Farc avrebbe potuto spuntarla. Alla vigilia i suoi unici concorrenti, erano Hu Jia, il dissidente cinese in galera per le campagne a favore dei malati di Aids, e Gao Zhisheng, l’avvocato nemico dei soprusi di Pechino. Già fuori causa era, invece, la paladina dei diritti umani Svetlana Gannushkina, vista la scarsa propensione dei delegati scandinavi a inimicarsi i vicini russi.
Nella sua smania di Nobel Ingrid non si è comunque fatta mancare nulla.

Poche ore prima del verdetto si era presentata in lacrime al Parlamento Europeo ricordando i nomi dei 27 ostaggi ancora nelle mani delle Farc, il soldato israeliano Gilad Shalit prigioniero di Hamas e la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi. Ma arrivare al Nobel al fianco di altri tre francesi si è rivelato alla fine un sogno troppo ambizioso.

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