Esiste un distacco sempre maggiore tra il Paese reale e la «casta» dei politici. La Chiesa avverte questo distacco?
«Direi che la parola “casta” non riesce a fotografare adeguatamente una realtà che è più complessa. Ma esiste certamente una reazione verso atteggiamenti “di casta” che la politica ha assunto. Il punto non è però la condanna dei privilegi, quanto piuttosto la percezione sempre più radicale di una lontananza della politica dai problemi reali dei cittadini. Quando la gente è provocata sui problemi veri, su temi sensibili, risponde. Lo abbiamo visto nel caso del referendum sulla fecondazione assistita e nel caso del Family day».
Come giudica l’affluenza alle primarie del Pd?
«Dimostra che non c’è solo disaffezione: quando la possibilità di partecipare è reale, le persone partecipano. Non vorrei però esaltare oltre misura l’affluenza alle primarie. Esiste ancora l’apparato dell’ex Pci, poi Pds e ora Ds e se i militanti sono chiamati, rispondono come un tempo. Questa capacità di mobilitazione fa parte della tradizione di una certa parte politica. Mi sarei stupito di un risultato diverso».
Cosa ne pensa delle suore che sono andate a votare per le primarie?
«Sinceramente, non mi ha fatto piacere. A noi dicono che facciamo ingerenza ogni qual volta interveniamo, poi si esalta la partecipazione di religiosi a una consultazione che riguarda la vita interna di un partito. Noi non partecipiamo alla vita dei partiti e interveniamo soltanto quando sono messi in gioco alcuni grandi valori umani. Quanto al Pd, non prendiamo alcuna posizione: sarà giudicato sulla base dei fatti».
Come favorire una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica?
«È un problema culturale, stanno venendo meno i valori condivisi, manca l’idea di un bene comune. Nei prossimi giorni parleremo proprio di questo, durante la Settimana sociale. Come Chiesa siamo in ritardo nel diffondere la dottrina sociale e nel preparare i credenti a questa partecipazione, ma questa è la via».
Come giudica il fenomeno Grillo?
«Rappresenta il segnale di un malessere. Non mi sembra che la soluzione al problema del distacco dei cittadini dalla politica passi per queste strade senza un riscontro opportuno di partecipazione nelle strutture della nostra società. Il fenomeno non va sottovalutato ma neanche cavalcato».
In queste ultime settimane siete stati oggetto di critiche forti per le esenzioni fiscali. La Chiesa in Italia è privilegiata?
«Credo che ci troviamo di fronte a una campagna di mistificazione che vuole presentare come un privilegio le condizioni per l’esercizio della missione della Chiesa come di altri soggetti che operano nel sociale. Non credo che si tratti di una campagna preordinata, ma confesso che questo mi preoccupa ancor di più, perché sarebbe più comodo individuare pochi responsabili. In fondo, la Chiesa fa una grande elemosina, un’attività caritativa strutturata. Punirla, come punire gli altri soggetti che intervengono nel sociale, significa punire la società stessa. Non penso si possa mettere una tassa sull’elemosina! Esiste una cultura egemone che non rispetta la presenza sociale della Chiesa, non la tollera, non la vuole».
È vero o no che sono esenti dall’Ici anche gli immobili della Chiesa destinati a fini commerciali?
«Se per fini commerciali si intende fini di lucro, nessuno stabile a fini di lucro è esente dall’Ici. Sono esentati gli immobili usati per finalità sociali, quelli della Chiesa come quelli di altri soggetti, come i sindacati e le associazioni. Non abbiamo timore di dire che tutto ciò che non soggiace all’Ici e ha fini di lucro deve soggiacerci e nei Comuni ci sono uffici competenti per fare queste verifiche. Altra cosa sono le Caritas, che possono ricevere finanziamenti da parte dei Comuni per le mense e sono obbligate a rilasciare fatture commerciali: non è un’attività lucrosa e non fa concorrenza ai ristoranti».
La Chiesa italiana riceve un miliardo di euro con l’otto per mille...
«Si dimentica che è la conseguenza del passato incameramento da parte dello Stato dei beni degli ordini religiosi. Lo Stato si era impegnato a mantenere il clero con la “congrua”. L’otto per mille è per così dire una de-statalizzazione: non è più lo Stato a dare questo sostegno, sono i cittadini che liberamente scelgono. E il 90 per cento degli italiani ha fiducia nella Chiesa e sceglie di destinarle l’otto per mille. A proposito del rapporto Chiesa e soldi, sa quanto risparmia lo Stato grazie al servizio offerto dalle scuole paritarie cattoliche? Sei miliardi di euro».
Qual è oggi il compito dei cattolici in politica?
«Oggi è uguale a quello di ieri, il Vangelo è lo stesso, la dottrina sociale è il patrimonio di riferimento. Sono diverse le condizioni. Non c’è più una casa unica dei cattolici in politica, che ha servito il Paese in maniera straordinaria, ma verso la quale ora è inutile provare nostalgia o immaginare di ricostruirla. I cattolici sono impegnati in schieramenti diversi ma devono essere uniti sui riferimenti comuni e sui valori. Oggi molti temi al centro del dibattito politico riguardano l’inizio e la fine della vita umana, e toccano direttamente la dimensione della fede. Forse oggi è più difficile essere politici cattolici, c’è una responsabilità maggiore in rapporto ai valori fondamentali».
Il cattolico in politica spesso rivendica la propria autonomia dalle gerarchie.
«L’autonomia non può essere intesa come mancanza di comunione con i pastori. Essere autonomi non significa rifiutarsi di ascoltare l’insegnamento della Chiesa, ma agire con la propria responsabilità senza coinvolgere direttamente la Chiesa nell’agone politico. Autonomia non significa interpretare in modo solitario i valori della fede».
L’Italia può ancora dirsi un Paese «cattolico»?
«Credo che sia ancora cattolico. Non condivido l’idea di chi sostiene che oggi i cattolici sono minoranza e devono ragionare da minoranza. Finché la gente si dice cattolica, chi sono io per affermare il contrario?».
Ammetterà però che poi molti non seguono le regole morali della Chiesa...
«C’è sempre stato, purtroppo, il problema della divaricazione tra l’appartenenza alla Chiesa e alcuni comportamenti morali. Non credo però che in altre epoche la situazione fosse tanto migliore. Oggi, diversamente dal passato, c’è una cultura egemone che ha perso ogni riferimento alla fede e alla tradizione cristiana».
Da parte della Chiesa non c’è troppa insistenza sui temi della vita della famiglia, mentre altri, come la giustizia sociale o lo stesso annuncio evangelico, rischiano di passare in secondo piano?
«Vita e famiglia sono oggi un’emergenza sociale. C’è uno sradicamento dei principi stessi che sono alla base della nostra convivenza. Dunque non si possono sempre trattare tutti i temi allo stesso modo.
«Per molti anni siamo stati gli unici a parlarne, insieme all’allora presidente Ciampi. Ora ci si comincia ad accorgere del problema, ma non vediamo segni di risposta concreti. Non si tratta di un problema solo economico, aspetto che pure non va sottovalutato. C’è anche una crisi della speranza. Purtroppo l’uomo contemporaneo non si ama e in base a una certa filosofia evoluzionistica si considera come l’ultima specie di un’evoluzione casuale, senza senso. Dunque anche la vita è senza senso. Questo è l’humus dentro cui nidifica l’incapacità di trasmettere la vita».
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