Come la maggior parte degli inglesi, lo considerava un mostro, «una sorta di enorme orco o gigante, con un unico occhio fiammeggiante in mezzo alla fronte e lunghe zanne che gli uscivano dalla bocca, con le quali faceva a pezzi e sbranava le bambine capricciose». Così, quando sa che sta per sbarcare sul suo piccolo mondo antico, ne è terrorizzata. Al primo incontro, le appare come un principe delle favole, maestoso sul suo cavallo che monta come nessun altro nonostante la statura modesta, bellissimo sebbene abbia le mani paffutelle e i capelli più morbidi di quelli di una donna. Ma bastano pochi giorni, e già «lo consideravo, in verità, alla stregua di un fratello o di un compagno della mia età; tutte le raccomandazioni che ricevevo e i miei stessi proponimenti di trattarlo con maggior deferenza e formalità si dileguavano non appena entravo nel raggio del suo malizioso sorriso e della sua risata». Alla fine, quando lei con la famiglia abbandona lisola, lui si fa tagliare una ciocca di capelli e gliela dona: «È lunica cosa che mi resta dei molti ricordi che possedevo del grande imperatore».
Grande, almeno, prima di arrivare a SantElena. E non perché su quello sputo di terra sperduto nellAtlantico, nebbioso e umido, Napoleone arriva definitivamente sconfitto, prigioniero degli inglesi che per lui, solo per lui e la sua piccola corte, scomodano un intero reggimento, quasi tremila uomini, una dozzina di navi, un sistema di spie che lo sorveglia 24 ore su 24 temendo una nuova fuga dopo quella dallElba, un nuovo sbarco in Francia, una nuova guerra, magari non una Waterloo. Quando scende dalla Northumberland e approda a SantElena, è ancora il grande Napoleone, sconfitto ma non piegato, capace di incutere rispetto e terrore, e ancora così forte da combattere per la sua ultima impresa: affidare alla storia la sua leggenda che detterà a una serie di piccoli, rissosi biografi, il conte Emmanuel de Las Cases è il più famoso, autore del Memoriale di SantElena, e il generale Gourgaud, il gran maresciallo Bertrand.
Ma il piano strategico minuzioso e brillante come tutti i piani delle sue battaglie che Napoleone aveva steso per vincere contro la Memoria e il Mito, va allaria dopo lincontro con Betsy Balcombe. Appena quattordici anni, insopportabilmente educata e amabilmente leziosa come tutte le ragazzine della piccola nobiltà inglese dinizio 800, Betsy è figlia del sovrintendente della Compagnia delle Indie sullisola. Di donne, Napoleone ne ha incontrate molte, e almeno tre sono entrate nella leggenda: Joséphine Beauharnais, che lo accompagnò al potere; Maria Walewska, che per un attimo glielo fece dimenticare; la principessa Maria Luisa dAustria, simbolo di tutto ciò che si era unito per togliergli il potere.
Betsy non può avere lintelligenza e il fascino sensuale di Joséphine, lalone romantico di Maria, laura della sovranità di Maria Luisa. Eppure è lunica piccola, insignificante donna che riesce in ciò che nessunaltra aveva osato immaginare: piegare il grande imperatore, ridurlo a «un compagno della mia età più che il formidabile guerriero al cui nome in mondo impallidiva».
Il mio amico Napoleone. Memorie di una ragazza inglese a SantElena (Mondadori, pagg. XXXVIII-135, euro 17), curato da uno dei maggiori esperti italiani di Bonaparte, Ernesto Ferrero, e tradotto per la prima volta in Italia, è uno straordinario e struggente documento che chi ama Napoleone leggerà imprecando e maledicendo la sua autrice, capace di ridurre una tragedia della storia a una commedia da salotto. Corse nelle campagne con i bambini, smorfie per terrorizzarli e poi scoppiare a ridere, tiratine dorecchi e canzoncine stonate, impertinenze di bambine viziate come quello sullincendio di Mosca, a proposito del quale Betsy dice allimperatore: «Io credo, signore, che siano stati i russi ad appiccare il fuoco, per liberarsi dei francesi». Il Napoleone che annegò nel sangue lEuropa e realizzò, sia pure per poco, uno dei sogni più arditi della storia, in queste pagine diventa un vecchio petulante e vanitoso che si fa mettere letteralmente i piedi sulla faccia da una ragazzina, assecondandola in ogni suo capriccio.
Soprannominata «la piccola fidanzata dellimperatore», Betsy è stata invece colei che, con lincoscienza della sua giovinezza mai cresciuta neppure quando, trentanni dopo, nel 1843, pubblica per la prima volta queste memorie, è riuscita a strappare leroe alla sua gloria, a disarcionarlo dal suo cavallo bianco per metterlo a quattro zampe nel giardino di casa a farsi fare cavalluccio da un branco di mocciosetti inglesi. E a demolire, come neppure la sconfitta di Waterloo era riuscita a fare, il suo sogno di gloria.
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